Secondo la Cassazione deve essere considerata anche la composizione del volume d’affari del soggetto passivo

Con la sentenza n. 9670/2018, la Corte di Cassazione torna ad affermare il principio espresso di recente (Cass. n. 7654/2017) secondo cui, ai fini del calcolo del pro rata di detraibilità IVA, “occorre avere riguardo non già all’attività previamente definita dall’atto costitutivo come oggetto sociale, ma a quella effettivamente svolta dall’impresa, poiché, ai fini dell’imposta, rileva il volume d’affari del contribuente (…) e, quindi, l’attività in concreto esercitata”.

L’irrilevanza dell’oggetto sociale dell’impresa e, viceversa, la rilevanza dell’attività effettivamente esercitata rappresentano un principio ormai assodato e del tutto condivisibile (tra le altre, Cass. n. 19484/2009).
Il riferimento al “volume d’affari” del soggetto passivo può, invece, apparire equivoco.
Tale parametro non dovrebbe essere assunto, da solo, come criterio in base al quale determinare il pro ratadi detraibilità, trattandosi di un elemento quantitativo che, di per sé, non rappresenta l’attività effettivamente svolta dall’impresa.
Come aveva già indicato nella C.M. n. 71/461507 del 1987, l’attività propria dell’impresa “va assunta sotto un profilo prevalentemente qualitativo, intesa cioè come quella diretta a realizzare l’oggetto sociale e quindi a qualificare sotto l’aspetto oggettivo l’impresa esercitata, e sotto tale aspetto proiettata sul mercato e, quindi nota ai terzi”.

Non dovrebbe, pertanto, essere fraintesa la decisione della Corte di Giustizia Ue, nella sentenza 14 dicembre 2016, causa C-378/15, ove si affermava – riconoscendo la compatibilità delle norme italiane in materia di pro rata rispetto alla disciplina comunitaria – che la normativa e la prassi nazionali possono imporre a un soggetto passivo di applicare alla totalità degli acquisti un “pro rata di detrazione basato sulla cifra d’affari” senza prevedere un metodo di calcolo che rifletta la destinazione “specifica” di ciascun bene e servizio acquistato (per effettuare operazioni esenti ovvero imponibili).

Di fatto, veniva confermata la regola di determinazione del pro rata “generale” fissata dalla normativa italiana (art. 19-bis comma 1 del DPR 633/72) che considera l’ammontare complessivo annuo delle operazioni che attribuiscono il diritto alla detrazione in rapporto allo stesso ammontare aumentato delle operazioni esenti.

Tale conclusione, riferita alla menzionata causa C-378/15, non dovrebbe però significare che è legittimo assumere “acriticamente” il volume d’affari del soggetto passivo quale parametro per determinare il pro rata di detrazione.
Il riferimento alla composizione della cifra d’affari, invocato dalla Corte di Giustizia, opera “a condizione che la valutazione condotta tenga conto altresì del rapporto tra dette operazioni e le attività imponibili di tale soggetto nonché, eventualmente, dell’impiego che esse implicano dei beni e dei servizi per i quali l’IVA è dovuta”.

Il dato emerge anche nell’ordinanza n. 23811/2017

Come emerge anche nell’ordinanza n. 23811/2017 della Cassazione, dunque, non può prescindersi, ai fini del pro rata, da una verifica sull’oggetto dell’attività propria esercitata dell’impresa.

A tal fine, dev’essere considerato, in primo luogo, che le attuali regole nazionali del pro rata, introdotte con il DLgs. 313/97, escludono il calcolo dello stesso al verificarsi della “occasionale effettuazione di operazioni esenti da parte di un contribuente che svolge essenzialmente un’attività soggetta ad IVA”.
Peraltro, il disposto dell’art. 19-bis comma 2 del DPR 633/72, in conformità con la pronuncia della Corte di Giustizia, esclude dal calcolo del pro rata le operazioni esenti di cui all’art. 10 comma 1 nn. da 1) a 9) quando “non formano oggetto dell’attività propria del soggetto passivo”.

È opportuno, quindi, recuperare anche le pronunce che, sulla scorta della precedente Corte di Giustizia C-98/07 (non richiamata nella decisione relativa alla causa C-378/15), stabiliscono che:
– non rientrano nell’attività propria dell’impresa e, dunque, sono da escludere dal calcolo del pro rata, le “attività che, pur previste nell’atto costitutivo, sono eseguite solo in modo occasionale o accessorio per un migliore svolgimento dell’attività propria d’impresa” (tra le altre, Cass. n. 11085/2008);
– rientrano nell’attività propria dell’impresa, e devono essere considerati per il pro rata, gli atti finalizzati al perseguimento del fine produttivo “secondo parametri di regolarità causale o comunque che siano legati al perseguimento del fine da una connessione funzionale non occasionale” (Cass. n. 4912/2013).

In definitiva, anche a seguito della nuova pronuncia di Cassazione, non può ritenersi venuto meno il principio per cui non è necessariamente tenuta ad applicare il pro rata la società che genera un rilevante volume d’affari con una singola operazione esente estranea all’attività imponibile abitualmente portata avanti dall’impresa.