Rinvio della Cassazione per accertare la prevedibilità del dissesto e la responsabilità degli amministratori senza deleghe

Il reato di bancarotta societaria o impropria può configurarsi anche quando amministratori, direttori generali, sindaci o liquidatori di società dichiarate fallite “abbiano cagionato con dolo o per effetto di operazioni dolose il fallimento della società” (art. 223 comma 2 n. 2 del RD 267/1942).

La Corte di Cassazione, nella sentenza n. 14783 depositata ieri, precisa che nel caso di fallimento di una società di capitali derivato anche da operazioni dolose, protrattesi nel tempo, può configurarsi il reato in questione anche se nel breve periodo tali operazioni abbiano determinato un arricchimento del patrimonio sociale.
In tali ipotesi, l’elemento soggettivo richiesto per l’accertamento dell’illecito attiene all’astratta prevedibilità – nel medio periodo – da parte degli amministratori del possibile dissesto conseguente alle attività illecite poste in essere. Ciò può avvenire, ad esempio, nel caso di sistematico inadempimento di obbligazioni tributarie e previdenziali, che nell’immediato comportano un risparmio, ma che – laddove accertate dagli organi competenti – possono condurre a gravi situazioni di insolvenza (cfr. di recente Cass. n. 11956/2018 sul rapporto tra operazioni dolose ed illeciti tributari).

Tale orientamento interpretativo qualifica il reato come una “eccezionale ipotesi di fattispecie a sfondo preterintenzionale”, in cui l’onere probatorio dell’accusa si esaurisce nella dimostrazione della consapevolezza e volontà della natura “dolosa” dell’operazione alla quale segue il dissesto, nonché dell’astratta prevedibilità di tale evento quale effetto dell’azione antidoverosa; non è, invece, necessaria la prova della rappresentazione e volontà dell’evento fallimentare.

Nel caso affrontato dalla sentenza in commento, si trattava di una serie di truffe nei confronti di un’altra società, tali da creare scompensi economici, nonché la distruzione dell’avviamento e della reputazione della società, fino all’inevitabile dissesto. Il rischio va, in tale prospettiva, ancorato alla crescita esponenziale del debito conseguente alla scoperta degli illeciti, con particolare riguardo alle iniziative risarcitorie e sanzionatorie attivate dalla controparte. Si tratta di una prevedibilità “astratta” poiché frutto di una valutazione preventiva e probabilistica, ma che deve pur sempre essere accertata in concreto.

In effetti, già in un precedente rinvio del medesimo procedimento, era stato chiesto al giudice di merito di verificare la riconoscibilità in capo ai ricorrenti della prevedibilità dell’accertamento delle condotte truffaldine e, dunque, della prevedibilità del dissesto come effetto di tali operazioni dolose (così Cass. n. 45672/2015). Mancando tale accertamento il reato non può configurarsi, tanto che la Cassazione annulla nuovamente la condanna con rinvio.

Alcune ulteriori imputazioni riguardano delle condotte distrattive poste in essere da alcuni degli amministratori (art. 223 comma 1 del RD 267/1942).
Rispetto a queste si pone la questione di chiarire i rapporti tra i fatti distrattivi in questione e i ruoli rivestiti in seno al consiglio di amministrazione. Si pone, in altre parole, il tema della responsabilità degli amministratori senza deleghe.
A tale proposito, la sentenza in esame ricorda che, ai fini della configurabilità del concorso dell’amministratore privo di deleghe nella bancarotta patrimoniale per omesso impedimento dell’evento, è necessaria la prova della sua concreta conoscenza del fatto pregiudizievole per la società o, quanto meno, di “segnali di allarme” inequivocabili rispetto all’esistenza di tale fatto, da cui sia desumibile l’accettazione del rischio (dolo eventuale) del verificarsi dell’evento illecito (il dissesto), nonché la volontaria omissione di attivarsi per scongiurarlo (cfr. Cass. n. 32352/2014).

Tale impostazione deriva dagli obblighi di agire informati nella gestione delle società che l’ultimo comma dell’art. 2381 c.c. impone in via generale a tutti gli amministratori, prevedendo, altresì, il diritto di ciascuno di essi di richiedere ai soggetti delegati che siano fornite indicazioni relative all’esercizio di tali deleghe gestionali.
Ovviamente, però, la responsabilità per fatti distrattivi connessi alla bancarotta non può essere affermata solo perché gli stessi amministratori abbiano concorso nella commissione di altri fatti illeciti (e, cioè, nelle operazioni dolose di cui si è detto).

Solo la prova della conoscenza dello specifico fatto illecito, ovvero della concreta conoscibilità dello stesso anche mediante l’attivazione dei poteri di cui all’art. 2381 c.c. in presenza di segnali specifici di distrazione, comporta l’obbligo giuridico degli amministratori senza delega di intervenire attivamente per impedire l’evento.
Tale prova potrà essere ricavata anche tenendo conto del concreto funzionamento del CdA, alla luce delle clausole di organizzazione delle funzioni gestorie derivanti dallo statuto sociale o da eventuali successive deliberazioni adottate dall’assemblea o dal consiglio stesso.