La bancarotta si configura come un reato complesso che «assorbe» in sé l’illecito previsto dall’art. 646 c.p.
La bancarotta fraudolenta patrimoniale è reato complesso, ex art. 84 c.p., rispetto a quello di appropriazione indebita. Dunque, laddove ad una condotta punibile ai sensi dell’art. 646 c.p. seguisse una dichiarazione di fallimento, l’autore del fatto dovrebbe essere punito unicamente per il reato fallimentare.
L’art. 84 c.p. stabilisce che il “reato complesso” si configura quando “la legge considera come elementi costitutivi, o circostanze aggravanti di un solo reato, fatti che costituirebbero, per se stessi, reato”. Per esempio, la rapina è un reato complesso, perché si compone di un furto a cui si aggiunge una violenza o una minaccia. Ci si trova, cioè, in presenza di una fattispecie a formazione progressiva in quanto, muovendo dalla fattispecie minore, si perviene, attraverso la dichiarazione di fallimento, alla fattispecie maggiore.
Tale principio, già enunciato dalla giurisprudenza prevalente, ha trovato nuovamente applicazione in un procedimento conclusosi con il deposito di ieri della sentenza della Cassazione n. 12586.
Ad un soggetto venivano contestati il reato di appropriazione indebita pluriaggravata, attuato anche attraverso l’esercizio abusivo dell’attività finanziaria, nonché la bancarotta fraudolenta patrimoniale. Quest’ultima è prevista dall’art. 216 del RD 267/1942 (richiamato dall’art. 223 del medesimo decreto nel caso si tratti di un ambito societario) e si perfeziona attraverso diverse tipologie di condotta, tra cui quella di “distrazione” dei beni alla garanzia dei creditori che può essere evidentemente integrata anche da una forma appropriativa. In tema di reati fallimentari, tra l’altro, si intendono per “beni del fallito” tutti quelli che fanno parte della sfera di disponibilità del patrimonio, indipendentemente dalla proprietà e prescindendo dal modo di acquisto degli stessi (dunque anche quelli ottenuti con sistemi illeciti).
L’appropriazione, dunque, potrà rilevare penalmente, prima del fallimento, ai sensi dell’art. 646 c.p.; mentre, una volta intervenuto il fallimento, causalmente collegato all’appropriazione stessa, l’illecito verrà “assorbito” nell’alveo del reato fallimentare, quale elemento costitutivo dello stesso (cfr. Cass. n. 572/2017).
Sicché – ci ricorda la Cassazione in commento – gli stessi fatti, già contestati ex art. 646 c.p., possono essere ricondotti, dopo la pronuncia della sentenza dichiarativa di fallimento, alla fattispecie di bancarotta.
In altre parole, non può sussistere il concorso formale dei reati di bancarotta fraudolenta per distrazione ed appropriazione indebita quando, oltre ad esservi perfetta identità della cosa su cui si sono concentrate le rispettive attività criminose e simultaneità delle attività stesse, unica risulti la destinazione data dal soggetto attivo ai beni da lui appresi indebitamente.
Ciò in quanto la condotta di apprensione di beni di cui il fallito abbia la disponibilità, pur essendo astrattamente riconducibile alle distinte ipotesi delittuose, ricade, come si è detto, sotto la previsione di cui all’art. 84 c.p., con la conseguenza che non è possibile cumulare le sanzioni previste per le due fattispecie.
Può essere utile sottolineare il fatto che la previsione del “reato complesso” viene spesso qualificata in dottrina come un’applicazione a livello sostanziale del principio del “ne bis in idem”, sancito dall’art. 649c.p.p.
La peculiarità della ricostruzione giurisprudenziale, tuttavia, si evidenzia dal fatto che, da un lato, agisce certamente sul piano sanzionatorio (evitando il cumulo del concorso formale dei reati), mentre, dall’altro, la condotta appropriativa sembra conservare una sua propria autonomia.
Ad esempio, la Cassazione, con la pronuncia n. 5459/2018, ha recentemente ritenuto che potesse configurarsi il delitto di riciclaggio rispetto alle somme sottratte tramite appropriazione indebita, sebbene questa fosse assorbita nella bancarotta (si veda “Si configura il riciclaggio anche in caso di distrazioni prima del fallimento” del 7 febbraio 2018).
Seguendo la medesima impostazione, la giurisprudenza ha altresì evidenziato come potrebbe accadere che per la condotta di appropriazione indebita si pervenga a sentenza irrevocabile (condanna, assoluzione o prescrizione), ma che successivamente sia dichiarato il fallimento con integrazione della fattispecie maggiore. In applicazione della logica dell’assorbimento, il giudicato intervenuto sul reato contenente (bancarotta fraudolenta) esclude la possibilità di un giudizio sul reato contenuto (appropriazione indebita), ma non può valere il contrario (Cass. n. 4404/2009). Potrebbe, pertanto, proseguire l’azione penale per il delitto di bancarotta per distrazione dei medesimi beni oggetto di appropriazione.