La Cassazione ha affermato che il dolo non può essere scisso dalla consapevolezza dell’illiceità della condotta
Il tema del mancato pagamento delle imposte da parte del contribuente imprenditore per ragioni legate a una crisi economica della sua azienda sembrava ormai definitivamente abbandonato dalla giurisprudenza, che era pervenuta a conclusioni assai severe sul tema.
Non che la Cassazione negasse qualsiasi rilievo alla questione e ritenesse irrilevanti le difficoltà economiche in cui risultasse versare l’azienda, anche se non sono mancate e sono state tutt’altro che infrequenti decisioni in questo senso, come quelle secondo cui, nel caso in cui l’imprenditore ometta di versare le ritenute previdenziali e assistenziali operate sulla retribuzione versata ai propri dipendenti, a nulla rileva che la società versasse in condizioni economiche tali da precludere il possibile adempimento del debito. Ciò in quanto, a fronte della contestualità e indefettibilità del sorgere dell’obbligazione di versamento con il fatto stesso del pagamento della retribuzione, non si può invocare l’impossibilità di adempiere l’obbligazione, dovendo il reato essere individuato proprio nel mancato accantonamento delle somme dovute agli enti previdenziali (Cass. nn. 29975/2011 e 20845/2011).
Tuttavia, i giudici di legittimità subordinavano la non punibilità del contribuente a condizioni di un tale rigore da rendere pressoché implausibile una decisione di assoluzione.
Secondo la giurisprudenza i reati di omesso versamento delle ritenute fiscali e dell’IVA, così come l’omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali operate sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti, sono illeciti a dolo generico; per cui gli stessi sono integrati, sotto il profilo della condotta, dalla mera omissione dei versamenti, mentre sotto il profilo soggettivo è sufficiente che il singolo fosse consapevole al momento dei fatti del suo inadempimento.
Alla luce di queste considerazioni si ritiene che l’imprenditore che si vede impossibilitato al pagamento delle imposte a cagione di un momento di difficoltà economica della sua azienda, se vuole essere assolto per la mancanza di dolo o l’assoluta impossibilità di adempiere le obbligazioni tributarie, deve dimostrare non solo la sussistenza della lamentata crisi di liquidità ma anche la circostanza che la stessa non è attribuibile alla sua incapacità imprenditoriale, nonché la circostanza che tale crisi non sarebbe stata altrimenti fronteggiabile tramite il ricorso, da parte dell’imprenditore stesso, a misure e comportamenti diversi dal mancato assolvimento dell’onere tributario.
In sostanza, per la Cassazione l’imprenditore che necessiti di liquidità non può ricercarla e ottenerla col mancato pagamento delle imposte, per cui l’omesso versamento di somme dovute all’Amministrazione finanziaria si traduce in un illecito penale del contribuente a meno che questi non provi – ma risulta davvero difficile – che, prima di omettere i pagamenti, abbia fatto ricorso a strumenti che abbiano impattato sul suo patrimonio personale, come l’aumento o la ricostituzione del capitale sociale dell’impresa, l’effettuazione di finanziamenti all’impresa stessa, la prestazione di personali garanzie a istituti di credito o banche perché finanzino la persona giuridica in difficoltà (Cass. n. 10813/2014).
Questo sembrava l’approdo definitivo e la massima attenzione che la Cassazione sembrava disposta a riconoscere all’imprenditore la cui azienda attraversava una crisi economica.
La sentenza n. 6737/2018 sembra però aprire nuovi spiragli: da un lato, pare sostenere che la prova sull’impossibilità per l’imprenditore di fronteggiare la crisi economica con una modalità diversa dall’omesso versamento dell’imposta non debba essere particolarmente rigorosa per l’imputato e, dall’altro, valorizza in massimo grado il profilo dell’elemento soggettivo necessario per l’esistenza dei reati in parola.
A proposito di quest’ultimo profilo, a fronte delle affermazioni dell’imputato, titolare di un’impresa, che aveva sostenuto di non aver pagato le imposte perché si sentiva obbligato a soddisfare prima i creditivantati dai dipendenti, che dal pagamento degli stessi dipendevano per il soddisfacimento delle loro primarie esigenze di vita, la decisione osserva che una tale considerazione – ovvero il ritenere necessario prima provvedere, perché più impellente e urgente, al versamento degli stipendi e poi al soddisfacimento dell’obbligo erariale – esclude la sussistenza del dolo di omesso versamento dell’imposta.
Richiamando una precedente pronuncia n. 8352/2015), la Cassazione afferma che il dolo non può essere scisso dalla consapevolezza dell’illiceità della condotta che viene investita dalla volontà e quindi non può essere integrato dalla mera consapevolezza della condotta omissiva, richiedendosi che il mancato versamento delle imposte sia conseguenza di una scelta libera e consapevole: libertà e consapevolezza che mancano quando l’imprenditore, prima di versare le imposte, sceglie di pagare i dipendenti in ragione del fatto che per loro e per le loro famiglie è essenziale vedere garantito il diritto alla corresponsione dello stipendio.