Reati fiscali gravi e ripetuti inquinano il patrimonio e sono sintomo di pericolosità sociale
È ormai pacifica la possibilità di applicare la confisca di prevenzione anche laddove la “pericolosità sociale”, che giustifica una misura anticipata e autonoma rispetto alla condanna, non derivi da connessioni con la criminalità organizzata, ma anche solo da un’evasione fiscale ripetuta e sistematica.
Il DLgs. 159/2011, recentemente modificato dalla L. 161/2017, prevede infatti tra i soggetti destinatari delle misure di prevenzione “coloro che debbano ritenersi, sulla base di elementi di fatto, abitualmente dediti a traffici delittuosi” e “coloro che per la condotta ed il tenore di vita debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che vivano abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose”.
A fronte dell’ampliamento progressivo dell’ambito di operatività delle misure di prevenzione, la giurisprudenza ha già avuto occasione di evidenziare – in modo condivisibile – che il mero status di evasore fiscale non è sufficiente ai fini del giudizio di pericolosità generica che legittima l’applicazione della confisca (Cass. nn. 51059/2017 e 6067/2017).
Con la sentenza n. 8584 depositata ieri, la Corte di Cassazione torna sul tema in un caso in cui, però, non si discuteva di una condizione generica di “evasore fiscale”, bensì di un soggetto già condannato in via definitiva per associazione per delinquere finalizzata al compimento di una serie plurima e indefinita di reati fiscali, a mezzo di un sistema complesso per la creazione di fatture per operazioni inesistenti. Avendo accumulato una ricchezza illecita mediante la commissione di tali reati, secondo i giudici costui rientra pienamente nella qualifica normativa di soggetto “abitualmente dedito a traffici delittuosi” ed è quindi sottoponibile a una misura di prevenzione.
Le locuzioni normative devono considerarsi di stretta interpretazione e non può essere ampliato indiscriminatamente o discrezionalmente l’ambito di applicazione del DLgs. 159/2011; secondo la Cassazione, la condizione soggettiva di pericolosità sociale va, allora, ricondotta alla commissione di delitti ai quali deve essere collegata o conseguente l’attività del destinatario di tali misure. Da ciò si deduce che, per l’applicazione della confisca di prevenzione, devono essere individuate le fattispecie delittuose a cui connettere i traffici e le attività illecite del soggetto (cfr. Cass. n. 53033/2017).
Nel caso di specie, tali attività erano state “perfettamente agganciate” dai giudici di merito, per un arco di tempo significativo, alla commissione di reati per i quali era intervenuta una condanna definitiva.
Al contrario, affermare che l’esistenza di un’attività professionale lecita, parallela a quella delittuosa – quale quella addotta dalla difesa – valga di per sé a elidere la valenza sintomatica degli illeciti commessi e dell’indotto patrimoniale illecito che essi hanno generato significherebbe stravolgere il sistema stesso delle misure di prevenzione. In altre parole, per essere “socialmente pericoloso” non è necessario trarre interamente il proprio sostentamento dall’attività illecita (la norma recita “anche in parte”), né che tutto il capitale illecito prodotto sia investito nei beni oggetto della confisca.
L’applicazione del provvedimento richiede unicamente la prova che il soggetto abbia prodotto redditi illeciti così inquinando il proprio patrimonio e che ciò sia oggettivamente apprezzabile attraverso l’evidente sproporzione tra fonti lecite di produzione di ricchezza e origini illecite della stessa. Sproporzione che – si ricorda – la giurisprudenza e, oggi, anche la disciplina normativa espressa, escludono possa essere giustificata adducendo proventi da evasione fiscale (cfr. Cass. SS.UU n. 33451/2014e art. 24 comma 1 del novellato DLgs. 159/2011).
Anzi, secondo i giudici di legittimità, la misura di prevenzione è tanto più necessaria nelle ipotesi in cui vi sia tale commistione di lecito/illecito e, dunque, anche laddove si tratti di un legittimo reinvestimento finanziario di quanto illecitamente prodotto. Lo scopo delle misure patrimoniali di prevenzione è, infatti, proprio quello di eliminare dal circuito economico beni di sospetta provenienza, appartenenti a soggetti abitualmente dediti a traffici illeciti dai quali ricavano i propri mezzi di vita.
Anche eventuali questioni di illegittimità costituzionale possono essere, così, superate dalla finalità dell’ordinamento di non legittimare facili vie di fuga nell’investimento finanziario a prodotti “corrosi dall’originaria contaminazione della ricchezza illecita”. Ciò legittima la confisca per tutti i tipi di investimento e di risparmio, inclusa l’ipotesi – come nel caso di specie – di una polizza assicurativa sulla vita.