Tali proventi non entrano nel calcolo delle entrate commerciali per la qualifica di ETS non commerciale

Con il DLgs. 117/2017, introduttivo del Codice del Terzo settore (CTS), il panorama normativo italiano è stato innovato con la previsione degli enti del Terzo settore (ETS), dettagliatamente individuati dall’art. 4 del CTS, dove, insieme all’aspetto soggettivo e alle finalità di tali enti, viene individuato anche l’altro requisito fondamentale, ossia l’iscrizione al Registro unico nazionale del Terzo settore.

L’altra particolarità della riforma risiede nel fatto che gli ETS, sotto un profilo fiscale, potranno essere sia di tipo “non commerciale” che di tipo “commerciale”, affiancando, quindi, la previsione dell’ente non commerciale ex art. 73, comma 1, lett. c) TUIR. In altre parole, il CTS prevede la possibilità che gli ETS perseguano “finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale” e, nello stesso tempo, svolgano attività di natura commerciale. In quest’ultimo caso, però, va considerata la previsione di cui all’art. 79, comma 5 del CTS, laddove, delineando gli ETS non commerciali, prevede la possibile perdita di tale qualifica qualora le entrate commerciali superino quelle non commerciali, ad eccezione dei proventi da sponsorizzazione.

In altri termini, la norma citata, in parallelo con quanto dispone l’art. 149 del TUIR (pur con i dovuti distinguo ex comma 4 relativi alle ASD ed agli enti ecclesiastici con personalità giuridica), prevede la possibilità che l’ETS che nello stesso anno d’imposta abbia proventi da attività commerciali in misura aritmeticamente superiore a quelli di natura non commerciale, pur restando ETS, cambi natura e diventi commerciale, con tutte le conseguenze relative, soprattutto in termini di perdita di diverse agevolazioni.

Ma nell’ambito del calcolo da operare per verificare il superamento del confine aritmetico di cui sopra, la norma “salva” i proventi derivanti da attività di sponsorizzazione, pur con i limiti di cui al decreto previsto dall’art. 6 del CTS, che regolerà limiti qualitativi e quantitativi delle “attività diverse” previste dallo stesso articolo e che gli ETS potranno svolgere oltre a quelle “generali” ex art. 5.

Ciò detto, si assiste, quindi, a una netta distinzione tra i proventi da attività di sponsorizzazione e gli altri proventi derivanti da altre attività commerciali, ambedue di certo finalizzate all’autofinanziamento dell’ETS ma, per la peculiarità della sponsorizzazione, la stessa norma la separa dal resto per evitare la confluenza nel suddetto calcolo della prevalenza per la qualifica fiscale dell’ETS.

Di conseguenza, potrà pacificamente accadere che l’ETS abbia proventi da sponsorizzazione anche di molto superiori a quelli da attività non commerciale, ma non correrà il rischio di perdere la propria qualifica fiscale di “non commerciale”, ed il motivo di tale previsione risiede proprio – come detto – nella peculiarità di questa attività, che è riconosciuta come una delle principali (e forse uniche) forme di autofinanziamento di tanti enti no profit. In tal modo, la rigidità del già citato calcolo della prevalenza viene attenuata, sottraendo proprio tali proventi ed evitando quindi il rischio – quasi matematicamente certo – di perdita di qualifica.

La previsione normativa in rassegna, peraltro, fa emergere un’altra questione, ossia quella relativa all’inquadramento fiscale dell’operazione, non dalla parte del percettore ma dal punto di vista del soggetto erogante. In altre parole, la norma cita espressamente l’attività di sponsorizzazione, ma mentre da parte dello sponsee (l’ETS) il provento è attratto nell’alveo del reddito d’impresa, da parte dello sponsor (il soggetto erogante) si pone il problema dell’inquadramento di tale costo.

La norma non aiuta in tal senso, ma è noto quanta giurisprudenza sia stata prodotta dall’annosa questione “spese di pubblicità/rappresentanza” (cfr. ex multis Cass. nn. 8679/201127482/201410914/2015), posto che la diversa qualificazione produce effetti fiscali diversi (ex art. 108, commi 1-2 del TUIR, come modificato dal DM 19 novembre 2008), e quanta prassi del Fisco vi sia in materia (circ. n. 34/2009, ris. n. 356/2002, R.M. n. 9/204 del 1992).

Ma non è tanto questa la questione quanto quella per cui, nel parallelo mondo sportivo dilettantistico, il legislatore è intervenuto in maniera tassativa stabilendo con l’art. 90, comma 8 della L. 289/2002, che “i corrispettivi in denaro o in natura, erogati in favore di società, associazioni sportive dilettantistiche, (…) [con riconoscimento ai fini sportivi], non superiori all’importo annuo di 200.000,00 euro, costituiscono per il soggetto erogante spese di pubblicità”, quindi introducendo una presunzione legale assoluta (cfr. recente Cass. n. 1420/2018).

Pertanto, l’assenza di analoga chiarezza nell’art. 79, comma 5 del CTS potrebbe costituire un freno nei confronti di quei soggetti che decideranno di chiedere all’ETS di intraprendere attività di sponsorizzazione, limitando quindi afflusso di denaro verso tali enti. In questo senso, la previsione in positivo – al pari di quella ex art. 90, comma 8 del L. 289/2002 – potrebbe contribuire sicuramente a dare pienezza attuativa alla Riforma e sollevare da sicuri contenziosi tributari.