Nella circolare n. 3/2018, Assonime illustra il contenuto della riforma dell’art. 20 del DPR 131/86
Nella circ. 6 febbraio 2018 n. 3, Assonime compie un attento esame della nuova formulazione dell’art. 20 del DPR 131/86, partendo dalla storia della norma e valutandone gli effetti, giungendo alla conclusione che si tratti di una norma di natura interpretativa.
In primo luogo, Assonime ricorda che l’imposta di registro trova applicazione, mediante il meccanismo della registrazione, agli atti indicati in Tariffa e che il presupposto dell’imposta è costituito non tanto dal rapporto giuridico in sé e per sé considerato (la compravendita di immobili, la locazione, la costituzione di società, ecc.), bensì dall’atto che costituisce, modifica o documenta tale rapporto. Per questo, si tratta di un’imposta c.d. “d’atto” e l’interpretazione dell’atto presentato per la registrazione configura un momento di fondamentale importanza per l’applicazione del tributo.
Da qui deriva la necessità di codificare le regole di interpretazione dell’atto presentato alla registrazione, necessità che ha trovato spazio nell’art. 20 del DPR 131/86 e, prima di esso, nell’art. 19 del DPR 634/72 e, prima ancora, nell’art. 8 del RD 3269/1923.
Assonime, ripercorrendo il contenuto delle disposizioni che, nel tempo, hanno disciplinato l’interpretazione degli atti per il registro, rileva come il riferimento agli “effetti giuridici” degli atti presentati per la registrazione sia stato inserito nell’art. 19 del DPR 634/72 allo scopo di risolvere la questione, sorta nella vigenza dell’art. 8 del RD 3269/1923, se l’interpretazione dovesse basarsi sugli effetti giuridici o gli effetti economici degli atti.
Il riferimento testuale agli “effetti giuridici”, contenuto nell’art. 20 del DPR 131/86 (previgente alla legge di bilancio 2018) era, quindi, secondo Assonime, più che sufficiente a indirizzare gli Uffici dell’Agenzia delle Entrate nel loro lavoro interpretativo, escludendo la possibilità di una riqualificazione fondata sugli effetti economici realizzati con più atti collegati.
Tuttavia, gli Uffici hanno utilizzato l’art. 20 per riqualificare, ad esempio, atti di conferimento di azienda seguiti dalla cessione di quote della conferitaria in cessioni di azienda, valorizzando il collegamento negoziale e gli “effetti reali” degli atti realizzati dalle parti.
Questo tipo di operazione, secondo Assonime, già criticabile sulla sola base della lettura dell’art. 20 del DPR 131/86 previgente, è divenuta insostenibile con l’introduzione, nell’ordinamento fiscale, dell’art. 10-bis della L. 212/2000, che ha codificato la disciplina sull’abuso del diritto.
La Cassazione ha però avallato l’operato dell’Agenzia delle Entrate, con un filone di pronunce che, pur negando natura antielusiva all’art. 20, lo riteneva utilizzabile per riqualificare atti tra di essi collegati sulla base degli “effetti reali” da questi prodotti (tra le tante, Cass. 29 aprile 2016 n. 8542 e 29 aprile 2015 n. 8655).
In questo contesto – ricorda la circolare – si colloca anche l’orientamento che riqualificava in cessione di azienda la cessione totalitaria di quote, valorizzando la pretesa identità di effetti tra le due fattispecie (identità di effetti che, però, Assonime dimostra puntualmente non esistere).
Da questo quadro nasce l’esigenza di modificare l’art. 20 del DPR 131/86, dalla volontà legislativa di “correggere” l’Agenzia delle Entrate e la giurisprudenza, per impedire loro di interpretare l’art. 20 in modo scorretto.
Per questo, ora, il nuovo testo dell’art. 20 fa riferimento al singolo “atto presentato per la registrazione” ed espressamente esclude la possibilità di interpretarlo sulla base di elementi non desumibili dall’atto stesso, come atti collegati o elementi extratestuali.
Questa precisazione – aggiunge Assonime – potrebbe “apparire scontata o pleonastica”, ma si è resa necessaria a causa dell’uso che la prassi e la giurisprudenza hanno fatto dell’art. 20 in passato.
Per questo, alla luce della nuova formulazione degli artt. 20 e 53-bis del DPR 131/86, è oggi esclusa la possibilità di riqualificare in cessione di azienda non solo l’operazione complessa di conferimento di azienda seguito da cessione quote, ma anche la cessione totalitaria di partecipazioni (atteso che tale riqualificazione implica il riferimento a un elemento estraneo all’atto, ovvero le “motivazioni” perseguite dalle parti).
Dopo aver terminato questa precisa ricostruzione della genesi della “riforma” dell’art. 20 del DPR 131/86, Assonime non può non affermarne la natura interpretativa. Infatti, se il legislatore, con la legge di bilancio 2018, ha voluto imporre agli interpreti la lettura dell’art. 20 del DPR 131/86 che era già “stata assegnata a tale norma con la riforma tributaria del ’71”, allora essa non ha nulla di innovativo (come dimostrato, peraltro, dal fatto che isolata giurisprudenza recente lo interpretasse già in tal modo, cfr. Cass. n. 2054/2017).
Pertanto, secondo Assonime, la riforma potrebbe esplicare effetti anche sui rapporti pregressi, ovvero sugli atti posti in essere anteriormente al 1° gennaio 2018, sempreché su tali rapporti non si sia già formato un giudicato o l’accertamento non sia divenuto comunque definitivo.