In mancanza del pagamento integrale all’Erario viene annullata la sentenza ai sensi dell’art. 444 c.p.p.
Nell’ambito di un procedimento per un reato tributario, l’art. 13-bis comma 2 del DLgs. 74/2000 consente al reo di accedere al patteggiamento solo quando ricorra la circostanza attenuante dell’integrale pagamento del debito tributario, comprensivo delle sanzioni amministrative e degli interessi, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado. L’applicazione della pena su richiesta delle parti è possibile anche nelle ipotesi di ravvedimento operoso; mentre restano salve le ipotesi in cui il pagamento integri la causa di non punibilità prevista dall’attuale art. 13 del DLgs. 74/2000.
Ciò significa che il pagamento di quanto dovuto all’Amministrazione finanziaria – laddove non integri di per sé una causa di non punibilità – è condizione indispensabile per la definizione del procedimento ai sensi dell’art. 444 c.p.p.
Tali norme sono state introdotte nell’ambito della riforma del diritto penale tributario operata dal DLgs. 158/2015, ma il nesso tra pagamento del debito, attenuazione della pena e ammissione al patteggiamento era già esistente nella precedente versione dell’art. 13 del DLgs. 74/2000.
Non sono mancate, a tale proposito, talune voci critiche che vedono nel mantenimento della preclusione al patteggiamento in difetto del previo integrale pagamento il rischio di una disparità di trattamento tra contribuenti dotati di disponibilità economica e contribuenti che ne sono privi, nonché una violazione del diritto di difesa. Tuttavia, la Corte Costituzionale ha costantemente ribadito la legittimità di tale opzione legislativa e recentemente la Corte di Cassazione ha ritenuto infondata una questione di costituzionalità nuovamente riproposta su questo tema (Corte Cost. n. 95/2015 e Cass. n. 38210/2017).
Con la sentenza n. 169 depositata ieri, la Cassazione ribadisce l’interpretazione per cui la previsione dell’art. 13-bis comma 2 del DLgs. 74/2000 non vulnera il diritto di difesa. Nel caso in esame, il giudice per l’udienza preliminare aveva ratificato l’accordo tra le parti per l’applicazione della pena di dieci mesi di reclusione in relazione alla commissione del reato di occultamento o distruzione delle scritture contabili al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto (art. 10 del DLgs. 74/2000).
Non avendo, tuttavia, costui provveduto all’estinzione integrale dei debiti tributari, il Procuratore generale presso la Corte d’Appello ha successivamente proposto ricorso per cassazione per violazione di legge, proprio in forza del fatto che l’accesso al rito alternativo è ammissibile nei soli casi in cui ricorra la circostanza attenuante prevista dall’attuale art. 13-bis comma 1 del DLgs. 74/2000.
La Cassazione, nell’accogliere il ricorso e nell’annullare la sentenza di primo grado, si sofferma sulla legittimità della connessione tra patteggiamento e pagamento del debito. La previsione di determinati presupposti per accedere al rito alternativo previsto dall’art. 444 c.p.p. non rappresenta – secondo i giudici di legittimità (si veda anche Cass. n. 29565/2017) – una limitazione della tutela giurisdizionale avverso la pretesa erariale, “non essendo configurabile alcuna pregiudiziale tributaria e spettando esclusivamente al giudice penale il compito di accertare l’ammontare dell’imposta evasa”. Resta, inoltre, per il contribuente la possibilità di difendersi in ambito tributario (Cass. n. 38210/2017). Né – sempre secondo la pronuncia oggi in esame – viene violato il diritto ad un equo processo o a non essere giudicati due volte per il medesimo fatto (“ne bis in idem”).
La disposizione del secondo comma dell’art. 13-bis assume, in tale prospettiva, una funzione principalmente premiale, essendo posta in relazione al ravvedimento operoso e all’integrale pagamento degli importi dovuti all’Erario, in stretta connessione con l’attenuazione della pena prevista dal comma 1 del medesimo articolo, nonché con la non punibilità prevista per alcune fattispecie dall’art. 13 del medesimo decreto.
Essa avrebbe, inoltre, una natura meramente processuale, dunque applicabile ai giudizi pendenti anche se relativi a fatti commessi anteriormente alla sua entrata in vigore.
Restano, tuttavia, alcune perplessità evidenziate soprattutto dalla giurisprudenza di merito e dalla dottrina (si veda “Difficile raccordo tra ricorso tributario e patteggiamento” del 28 ottobre 2017). A ciò si aggiunga che sono pendenti alcune questioni di legittimità relativamente al termine stabilito per il pagamento integrale del debito tributario (apertura del dibattimento di primo grado), con particolare riguardo ai casi in cui sia in corso la rateizzazione del debito, dal momento che risulterebbero disallineate le tempistiche connesse alla disciplina tributaria rispetto a quelle del procedimento penale (Trib. Treviso 23 febbraio 2016e 18 maggio 2017 e Trib. Asti 7 giugno 2017). Tematiche che, in parte, potrebbero incidere anche sulla possibilità di patteggiamento.