La restituzione del supporto che contiene il dato non è risolutiva se il soggetto è titolare di un interesse alla disponibilità esclusiva dei dati

Di Stefano COMELLINI

Con la sentenza n. 53810 depositata ieri, la Cassazione torna sul tema della sequestrabilità del dato informatico e soprattutto dei rimedi che avverso tale vincolo può esperire l’interessato.

Nel caso di specie, il Tribunale aveva dichiarato inammissibili le richieste di riesame, presentate da due indagati (di cui uno avvocato) per gravi reati, avverso i decreti di perquisizione e sequestro. In particolare, il professionista si era visto prelevare indistintamente tutti i documenti presenti nello studio legale, condiviso con altri legali estranei all’indagine, mediante l’estrazione di copia degli interi archivi informatici.

La decisione del tribunale si era fondata sulla ritenuta carenza di interesse all’impugnazione dei provvedimenti di vincolo, non potendosi ricondurre l’acquisizione della copia al sequestro secondo quanto previsto dalla risalente pronuncia delle Sezioni Unite n. 18253/2008. In realtà, una successiva e diversa pronuncia, sempre delle Sezioni Unite, la n. 40963/2017 – anche in considerazione del recepimento nell’ordinamento interno (L. n. 48/2008) della Convenzione di Bucarest del 2001 sulla criminalità informatica – ha precisato che il sequestro può avere ad oggetto non solo un intero sistema informatico o “un contenitore” (personal computer o supporto) ma anche il singolo dato informatico in esso contenuto (si veda “Si può ricorrere contro il sequestro del computer anche dopo la restituzione” del 8 settembre 2017).

In particolare con la Convenzione di Budapest si è precisato che anche il dato informatico in quanto tale, e non solo il supporto che lo contiene, possono essere “oggetto” del sequestro poiché la sua riproduzione si risolve in un “clone” identico ed indistinguibile dall’originale. La c.d. “copia immagine” che permette l’estrazione di altre copie manipolabili a fini processuali senza che l’originale rischi di essere trasformato o modificato.
In altre parole, “sequestrare” significa “prendere il mezzo fisico sul quale i dati o le informazioni sono registrati oppure fare e trattenere una copia di tali dati o informazioni”.

Ne deriva che i dati informatici acquisiti mediante l’integrale riproduzione di quelli presenti nella memoria del computer possono rimanere sotto sequestro anche se il supporto fisico di memorizzazione viene restituito. D’altronde, il codice di rito penale, proprio a seguito del recepimento della Convenzione, porta disposizioni (art. 244comma 2; 247 comma 1-bis; 352 comma 1-bis; 254-bis260 comma 2) che intendono garantire le corrette modalità di acquisizione dei dati individuati all’esito della perquisizione del sistema informatico o telematico, al fine di assicurarne la conservazione in originale e ad impedirne l’alterazione.

Qualora invece il dato non sia acquisito con le cautele della “copia immagine”, ma sia l’esito di una semplice estrazione di una copia di un file che ha rilevanza, non in sé, ma quale mero recipiente di informazioni, si potrà distinguere tra originale e copia come per i documenti cartacei. Anche in questo caso, tuttavia, la restituzione del supporto contenente il dato non è necessariamente risolutiva potendo permanere l’interesse ad impugnare il sequestro qualora il soggetto attinto dal provvedimento di vincolo sia titolare, come precisato dalle Sezioni Unite, di un “interesse alla disponibilità esclusiva del patrimonio informativo” racchiuso nel documento di cui è stata estratta copia, “sia esso informatico o di altro tipo”.

Richiesta di riesame a fronte di un preciso interesse del professionista

La sentenza in esame si adegua, quindi, alla recentissima pronuncia delle Sezioni Unite argomentandone la condivisione dei principi che applica nel caso di specie in cui, appunto, si era acquisita presso lo studio del professionista, pur senza il sequestro di computer o supporti, la copia degli hard disk, realizzata utilizzando attrezzatura, espressamente specificata, idonea a non alterare i dati originali contenuti nei “dischi sorgente”.

Per la Corte, si era quindi, nel caso di specie, in presenza degli estremi di un sequestro probatorio, impugnabile – a differenza di quanto ritenuto dal Tribunale di cui si è annullata la decisione – con la richiesta di riesame a fronte della sussistenza di un preciso interesse del professionista, sia per la natura dei dati acquisiti secondo quanto appena riferito, sia perché l’apprensione aveva riguardato indistintamente la documentazione di trent’anni di attività senza che ne fosse stata, neppure in seguito, indicata la parte concernente le ipotesi di reato oggetto di indagine.