La Cassazione analizza i diritti dei terzi nel caso di confisca e i termini per l’ammissione al credito dei beni confiscati alla criminalità

Di Maria Francesca ARTUSI

Nell’attesa dell’entrata in vigore della riforma del DLgs. 159/2011 (c.d. Codice Antimafia), la Cassazione si confronta con alcune problematiche relative alla tutela dei diritti dei terzi a fronte di una confisca di prevenzione.
La sentenza n. 51040/2017 – depositata ieri – rigetta la richiesta avanzata da un istituto di credito per far valere il proprio credito garantito da ipoteca su fabbricati sottoposti a confisca nel corso di un procedimento di prevenzione. Nello stesso giorno, è stata depositata anche la sentenza della Cassazione n. 51060 che, similmente, tocca la questione dei termini per la domanda di ammissione al credito dei beni confiscati alla criminalità organizzata.

La tutela dei terzi nel caso di confisca (e in particolare di “confisca senza condanna”) è uno dei temi dibattuti anche a livello internazionale: la Direttiva 2014/42/UE ha, infatti, richiesto agli Stati membri di dotarsi delle misure necessarie per poter procedere alla confisca di proventi da reato anche quando questi siano stati, a vario titolo, trasferiti ad altri soggetti. La giurisprudenza italiana ha, d’altra parte, chiarito che l’esistenza di ipoteche sui beni o di altre forme di garanzia non esclude l’assoggettabilità a sequestro e i relativi diritti potranno trovare soddisfazione solo nella fase processuale relativa all’esecuzione della confisca (cfr. Cass. n. 18845/2017).

Secondo quanto stabilito dall’art. 52 comma 1 del DLgs. 159/2011, la confisca non pregiudica i diritti di credito dei terzi che risultano da atti aventi data certa anteriore al sequestro, nonché i diritti reali di garanzia costituiti in epoca anteriore al sequestro, ove ricorrano le seguenti condizioni: che l’escussione del restante patrimonio del proposto sia risultata insufficiente al soddisfacimento del credito, salvo per i crediti assistiti da cause legittime di prelazione su beni sequestrati; che il credito non sia strumentale all’attività illecita o a quella che ne costituisce il frutto o il reimpiego, a meno che il creditore dimostri di avere ignorato in buona fede il nesso di strumentalità; nel caso di promessa di pagamento o di ricognizione di debito, che sia provato il rapporto fondamentale; nel caso di titoli di credito, che il portatore provi il rapporto fondamentale e quello che ne legittima il possesso. I commi 4 e 5 precisano, poi, che la confisca definitiva di un bene determina lo scioglimento dei contratti aventi ad oggetto un diritto personale di godimento e l’estinzione dei diritti reali di godimento sui beni stessi (salvo equo indennizzo).

Gli articoli successivi determinano le modalità per far valere tali diritti, ma va ricordato che su tali norme incide in modo rilevante la L. 161/2017 che entrerà in vigore il prossimo 19 novembre.
Nel caso affrontato dalle sentenze in commento si intersecano, pertanto, aspetti di natura civilistica con questioni di diritto penale processuale e sostanziale.

In particolare, con riferimento alla sentenza della Cassazione n. 51040/2017, la società ricorrente assume di essere titolare di un diritto reale di garanzia, costituito ed iscritto su bene sottoposto a successiva confisca con provvedimento di prevenzione. Le argomentazioni dei giudici si rifanno anche alle Sezioni Unite civili (Cass. n. 10532/2013), laddove hanno riconosciuto che il bilanciamento dei contrapposti interessi – dello Stato, che abbia ottenuto i beni sottoposti a confisca di prevenzione con provvedimento definitivo, e del terzo, titolare di diritti di garanzia sugli stessi cespiti, di soddisfare le proprie pretese – comporta “la salvaguardia del preminente interesse pubblico, dunque, giustifica il sacrificio inflitto al terzo di buona fede, titolare di un diritto reale di godimento o di garanzia, ammesso, ora, ad una tutela di tipo risarcitorio”.

L’elaborazione giurisprudenziale, soprattutto nell’ambito penale, e la veste sostanziale di attore nel procedimento giurisdizionale di ammissione che assume il creditore convergono nell’attribuire a quest’ultimo la prova positiva delle condizioni per l’ammissione al passivo del suo credito.

L’onere di provare la fondatezza dell’istanza grava sulla parte proponente

Alla luce di tutto ciò, la Corte di Cassazione ribadisce due principi di diritto. Innanzitutto, viene precisato che grava sulla parte proponente la domanda di accertamento del credito, ai sensi dell’art. 52 del DLgs. 159/2011, l’onere di provare la fondatezza della propria istanza nei suoi fatti costitutivi; mentre il giudice si attiverà d’ufficio per l’assunzione di documentazione e informazioni che siano detenute presso autorità pubbliche.

Inoltre, quando il terzo fa valere la stipulazione di un contratto di mutuo, sottoposto a condizioni sospensive, nei confronti del soggetto che ha subito l’imposizione di una misura di prevenzione reale, l’onere probatorio che l’istante deve assolvere riguarda non soltanto l’esistenza e la validità del titolo negoziale, ma anche l’avveramento delle condizioni che hanno consentito l’effettiva erogazione del capitale.