Fondi rischi da stimare facendo riferimento ai principi di redazione dei bilanci
Alla richiesta di accesso al concordato preventivo deve essere allegato, tra le altre cose, l’elenco nominativo dei creditori e l’indicazione dei rispettivi crediti e delle cause di prelazione. Tale previsione, contenuta nell’art. 39 del DLgs. 14/2019 (CCII) va rispettata anche nel caso di domanda di accesso formulata “con riserva” ai sensi del successivo art. 44 comma 1 lett. a). Sotto il profilo ragionieristico, detto elenco non è rappresentato dai soli debiti, ma dalla fotografia di tutte le passività dell’impresa, composte anche dai fondi oneri e dai fondi rischi.
È utile osservare che non tutti i fondi rischi devono essere iscritti nel bilancio di esercizio, ma solo quelli la cui sussistenza è probabile (non remota, né improbabile) e la cui quantificazione è attendibile (e non, quindi, meramente soggettiva o arbitraria). Così dispongono, in sintesi, i principi contabili internazionali (IAS 37). Sostanzialmente uguale è l’inquadramento fornito dai principi contabili nazionali (OIC 31), i quali evidenziano altresì la natura determinata dei fondi, che non possono essere generici e tali da dissimulare un irrituale accantonamento di utili.
Il tema della quantificazione dei fondi rischi nel concordato preventivo è oggetto della sentenza della Corte d’Appello di Venezia 8 febbraio 2024, che ha deciso in merito all’opposizione all’omologa del concordato (ex RD 267/42) presentata da una stazione appaltante, la quale aveva contestato la quantificazione, significativamente inferiore al valore nominale del risarcimento dal danno richiesto all’appaltatore, appostata nelle passività del concordato preventivo.
Il reclamante basava la propria posizione sulla necessità di un rigoroso impiego del criterio della prudenza, che avrebbe dovuto condurre all’iscrizione della passività concordataria nella misura del credito precisato dal creditore. Questa posizione potrebbe apparire ragionevole sul presupposto che solo l’importo massimo della passività può consentire una perfetta rappresentazione del passivo e, quindi, dare la possibilità ai creditori di votare consapevolmente la proposta di concordato.
È evidente, infatti, che, ove il creditore si vedesse giudizialmente accertata l’entità della pretesa in misura superiore, il concordato potrebbe rappresentarsi come ineseguibile, magari dopo l’omologa. Non mancano esempi di un simile approccio conservativo per fattispecie simili a quella in esame. Si pensi, ad esempio, ai profili applicativi dell’art. 120-quater del DLgs. 14/2019 che, secondo alcuni (cfr. Trib. Verona 21 luglio 2023), richiede il deposito anticipato da parte dei soci dell’impresa in concordato delle somme rappresentative del “valore effettivo, conseguente all’omologazione della proposta, delle loro partecipazioni e degli strumenti che attribuiscono il diritto di acquisirle, dedotto il valore da essi eventualmente apportato ai fini della ristrutturazione…”.