Le argomentazioni della sentenza n. 115/2024 della Consulta sulla responsabilità dei revisori, inoltre, lasciano fuori l’azione dei creditori sociali
Come evidenziato ieri su Eutekne.info, la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 115/2024, ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità dell’art. 15 comma 3 del DLgs. 39/2010 nella parte in cui prevede che il termine di prescrizione dell’azione di responsabilità del revisore decorre dalla data della relazione emessa al termine dell’attività di revisione cui si riferisce l’azione di risarcimento.
In particolare – premessa l’impossibilità di evocare una responsabilità dei revisori nei confronti anche dei creditori sociali per insufficienza del patrimonio sociale e di considerare come diritto vivente quello che fa coincidere il dies a quo delle azioni di responsabilità nei confronti di amministratori e sindaci con la conoscenza o con la conoscibilità del danno – il Giudice delle leggi osserva come per ricondurre l’art. 15 comma 3 del DLgs. 39/2010 in un corretto alveo costituzionale sarebbe sufficiente limitarne il raggio applicativo alla sola azione con cui la società, che ha conferito l’incarico di revisione, faccia valere il danno conseguente all’erronea o inesatta revisione; danno costituito dalla perdita economica correlata al valore (minore o nullo) della prestazione inesattamente eseguita.
In tal caso, fin dal deposito della relazione, la società vanta un interesse attuale a far valere – anche in via stragiudiziale – “una pretesa risarcitoria”. Questo danno, tuttavia, è, normalmente, solo la base di danni ben più gravi per la società e non ancora verificatisi (si pensi al peggioramento del dissesto a fronte di una non rilevata assenza di continuità aziendale). Di conseguenza, ad avviso di chi scrive, non sembra essere del tutto condivisibile il rilievo secondo il quale, sebbene la posizione del danneggiato risulti certamente meno protetta di quanto lo sarebbe se la prescrizione decorresse dalla oggettiva conoscibilità di tutti i danni cagionati, nonché della loro derivazione causale dall’inadempimento, si realizzerebbe, comunque, un non manifestamente irragionevole bilanciamento di interessi con la posizione particolarmente svantaggiata del revisore e con le esigenze di certezza del diritto; pur riconoscendosi come la soluzione adottata rappresenti una tutela minima del danneggiato.
Rispetto, invece, all’illecito nei confronti di soci e terzi, la responsabilità è sempre di natura aquiliana e, dunque, per essa opera – sia con riguardo alla durata (quinquennale) che in relazione al dies a quo – l’art. 2947 c.c., con la conseguenza che questo non può iniziare a decorrere prima che si sia compiuto il fatto illecito e prima che si siano prodotti danni.
A fronte di ciò, appare opportuno cominciare a interrogarsi su come tali indicazioni potranno rilevare con riguardo alla prossima nuova disciplina in materia di responsabilità dei sindaci.
È infatti in attesa di essere approvata, in via definitiva, dal Senato la proposta di legge A.S. 1155 che, nel riformare l’art. 2407 c.c., oltre a porre un limite quantitativo alla responsabilità dei sindaci (determinato sulla base di un multiplo del compenso percepito), interviene anche sulla decorrenza del termine di prescrizione.