Se così fosse il delitto coinciderebbe con la mera causazione dello stato di insolvenza e sussisterebbe per tutte le dichiarazioni di fallimento

Di Maria Francesca ARTUSI

Per la sussistenza del delitto di bancarotta fraudolenta impropria da operazioni dolose non è sufficiente la mera circostanza che l’amministratore della società fallita abbia accumulato debiti per scelte errate. Si deve, infatti, distinguere l’aggravamento del dissesto conseguente a operazioni dolose dall’aumento del passivo dovuto a scelte gestionali rivelatesi, a posteriori, errate e quindi dovute a comportamenti incolpevoli o anche solo colposi, poiché altrimenti il delitto coinciderebbe con la mera causazione dello stato di insolvenza e sussisterebbe in relazione a tutte le dichiarazioni di fallimento. Tale è il principio precisato dalla quinta sezione penale della Cassazione nella sentenza n. 22978 depositata ieri.

L’amministratore di una srl, dichiarata fallita, era stato condannato in primo e secondo grado per aver cagionato il deterioramento dei beni aziendali nonché per avere cagionato il fallimento della società in conseguenza della sistematica omissione del pagamento dei debiti erariali e contributivi e delle retribuzioni in favore dei dipendenti (art. 223 del RD 267/42, oggi confluito nell’art. 329 del DLgs. 14/2019).

Può essere utile ricordare che la bancarotta societaria prevede tra l’altro la punibilità per quei soggetti che abbiano cagionato, o concorso a cagionare, il dissesto della società, commettendo alcuno dei fatti previsti dagli artt. 26212622262626272628262926322633 e 2634 c.c. (reati societari), oppure abbiano cagionato con dolo o per effetto di operazioni dolose il dissesto della società (nel RD 267/42 si parlava di “fallimento” mentre l’attuale art. 329 parla di “dissesto”).

In particolare, le “operazioni dolose” possono consistere nel compimento di qualunque atto intrinsecamente pericoloso per la salute economica e finanziaria dell’impresa e, quindi, anche in una condotta omissiva produttiva di un depauperamento non giustificabile in termini di interesse per l’impresa. Esse attengono alla commissione di abusi di gestione o di infedeltà ai doveri imposti dalla legge all’organo amministrativo nell’esercizio della carica ricoperta, ovvero ad atti intrinsecamente pericolosi per la “salute” economico-finanziaria della impresa.