La Cassazione chiede alla Prima Presidente di valutare un rinvio al massimo consesso di legittimità per un chiarimento definitivo in materia

Di Maurizio MEOLI

La Cassazione, con l’ordinanza interlocutoria n. 16477, depositata ieri, ha rimesso alla Prima Presidente la valutazione circa l’assegnazione alle Sezioni Unite del compito di dirimere il contrasto – insorto in seno alla Corte medesima – attinente alla possibilità (o meno) di configurare una tacita rinuncia ai crediti sub iudice, illiquidi e non compresi nel bilancio finale di liquidazione di una società ove questa venga cancellata dal Registro delle imprese in pendenza della lite, con conseguente estinzione degli stessi e impossibilità di trasferimento ai soci anche ai fini dell’art. 110 c.p.c.

Il tutto ha inizio con le pronunce gemelle delle Sezioni Unite nn. 60706071 e 6072 del 2013, secondo le quali, quando l’estinzione di una società, conseguente alla sua cancellazione dal Registro delle imprese, abbia luogo nonostante la sussistenza di rapporti giuridici, si determina un fenomeno di tipo successorio in virtù del quale si trasferiscono ai soci:
– sia le obbligazioni sociali, delle quali gli stessi rispondono nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda che, pendente societate, fossero o meno illimitatamente responsabili per i debiti sociali;
– sia i diritti e i beni non compresi nel bilancio di liquidazione della società estinta, con la costituzione, stante il mancato riparto durante la liquidazione, di un regime di contitolarità o di comunione indivisa.

Un discorso diverso veniva, però, articolato per le mere pretese, ancorché azionate o azionabili in giudizio, e per i diritti di credito ancora incerti o illiquidi, in quanto la scelta del liquidatore di procedere alla cancellazione della società senza compiere l’ulteriore attività (giudiziale o extragiudiziale) che sarebbe stata necessaria per trasformare le pretese in diritti, nonché per far accertare un credito o renderlo liquido, doveva, a giudizio delle Sezioni Unite, essere ragionevolmente interpretata come una rinuncia.

Successivamente, contro tale soluzione, la Cassazione, con la sentenza n. 9464/2020, ha stabilito che la cancellazione della società non determinerebbe la automatica rinuncia del credito controverso, perché la rimessione del debito presuppone una volontà inequivoca in tal senso che deve essere specificamente allegata e provata. L’estinzione di una società conseguente alla sua cancellazione dal Registro delle imprese, ove intervenuta nella pendenza di un giudizio dalla stessa originariamente intrapreso, non determina anche l’estinzione della pretesa azionata, salvo che il creditore abbia manifestato, anche attraverso un comportamento concludente, la volontà di rimettere il debito comunicandola al debitore e sempre che quest’ultimo non abbia dichiarato, in un congruo termine, di non volerne profittare.

In applicazione di tale principio è stata, quindi, confermata la sentenza impugnata che aveva ritenuto dovute agli ex soci di una società di capitali, estintasi nel corso della causa, le somme inizialmente pretese dalla medesima.
E anche la sentenza n. 30075/2020 della Cassazione ha stabilito che, nel caso di cancellazione della società dal Registro delle imprese (tanto più se si tratta di cancellazione d’ufficio ex art. 2490 comma 6 c.c.) non può ritenersi automaticamente rinunciato il credito controverso (nella specie derivante dall’azione di responsabilità promossa ex art. 2476 c.c.), atteso che la regola è la successione in favore dei soci dei residui attivi, salvo l’intervento della remissione del debito ai sensi dell’art. 1236 c.c.; remissione che deve essere allegata e provata con rigore da chi intenda farla valere, dimostrando tutti i presupposti della fattispecie, ossia la inequivoca volontà remissoria e la destinazione della dichiarazione ad uno specifico creditore.