Omogeneità di giudizio per plurime domande di insinuazione di crediti con origine comune

Di Antonio NICOTRA

La Cassazione, con ordinanza n. 15040 depositata ieri, ha affrontato il delicato rapporto tra plurime domande di insinuazione al passivo per crediti aventi la medesima fonte costitutiva, rappresentata, nella specie, dall’obbligo di versamento del socio, sottoposto a procedura concorsuale, dei decimi residui per la sottoscrizione del capitale sociale.
Nel procedimento fallimentare, l’ammissione di un credito, sancita dalla definitività dello stato passivo, una volta che sia reso esecutivo con il decreto ex art. 96 del RD 267/42 non impugnato, acquisisce, all’interno della procedura, un grado di stabilità assimilabile al giudicato (Cass. n. 19940/2006).

L’accertamento dell’esistenza o dell’inesistenza del credito verso il fallito, azionato con la domanda, pertanto, sia pure ai soli fini della procedura nella quale è reso il decreto del giudice ex art. 96 del RD 267/42, impedisce, ove non impugnato, la differente decisione, in successivi giudizi tra le medesime parti (e cioè, nel corso della procedura, il creditore istante ed il curatore o il commissario dell’amministrazione straordinaria) di tutte le questioni che riguardano l’esistenza e l’entità del credito, la validità e l’opponibilità del titolo e l’esistenza delle cause di prelazione che eventualmente lo assistono (Cass. n. 25640/2017) e che (esplicitamente o implicitamente definite) costituiscono l’antecedente logico-giuridico necessario della decisione, comprese quelle – non dedotte ma – collegate.

I rapporti tra il decreto pronunciato sulla domanda di ammissione al passivo e quello successivamente pronunciato su altra domanda di insinuazione al medesimo stato passivo (per crediti comuni), devono essere, pertanto, definiti nel quadro della categoria della “preclusione”: trattandosi di due diverse fasi di un medesimo accertamento (anche se si tratta di quello che, pronunciata l’insolvenza, “prosegue” dopo l’apertura dell’amministrazione straordinaria ex art. 53 comma 1 del DLgs. 270/99), va riconosciuto alle pregresse decisioni un valore di giudicato interno rispetto a quelle pronunciate dopo, precludendo, di conseguenza, la successiva deduzione di quanto già dedotto e deducibile.

Qualora i due giudizi (come quelli conseguenti a due domande di ammissione al passivo ex artt. 94 del RD 267/42 e 53 comma 1 del DLgs. 270/99) tra le stesse parti (l’istante e il curatore o il commissario) siano relative al medesimo rapporto e uno di essi sia stato definito con pronuncia definitiva, l’accertamento in esso compiuto in ordine alla situazione giuridica ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto comuni preclude, in un altro giudizio tra le stesse parti (come quello che segue a una diversa domanda di ammissione proposta dallo stesso creditore), che il medesimo punto di diritto possa essere nuovamente esaminato e diversamente risolto.