Giorgia Meloni annuncia sui social che il decreto sarà sospeso in attesa di ulteriori approfondimenti

Di Alfio CISSELLO

Dopo una giornata frenetica e un confronto a Palazzo Chigi con il suo Viceministro Maurizio Leo, Giorgia Meloni ieri ha annunciato che il decreto ministeriale del 7 maggio 2024, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 20 maggio scorso, sarà sospeso in attesa di ulteriori approfondimenti.

Si tratta del decreto attuativo del c.d. redditometro, attraverso il quale al contribuente può essere attribuito un reddito derivante dal sostenimento di spese, che possono essere reali o presunte, le quali devono risultare incoerenti con il reddito dichiarato.

Sotto un profilo tecnico, bisogna mettere in evidenza che il decreto 7 maggio 2024:
– è quasi identico ai precedenti e non individua meglio le spese che possono essere imputate ai contribuenti. L’elemento di novità è rappresentato dalle medie ISTAT per spese generali tipo gli alimenti che nel decreto precedente non erano più presenti;
– non introduce nessuna garanzia procedurale per i contribuenti, considerato che la normativa è stata oggetto di una consistente riforma nell’anno 2010 ed è quella riforma che ha introdotto le garanzie.

Gli indici ministeriali derivavano in origine dal decreto 10 settembre 1992, periodicamente aggiornato.
Questo decreto imputava spesso spese irreali: è vero che, ora come allora, per procedere occorre uno scostamento tra reddito dichiarato e accertato, ma è del pari vero che il possesso di una vecchia auto attribuiva un reddito assolutamente incoerente.
Per non parlare della restituzione delle rate di mutuo. Il mutuo rappresentava sì una prova contraria (nel senso che il contribuente poteva agevolmente dimostrare come aveva reperito i fondi per acquistare l’immobile) ma la restituzione di ogni singola rata imputava un reddito presunto irrazionale.

Il contribuente che vedeva imputarsi un reddito di gran lunga maggiore di quello posseduto (ma non dichiarato) non poteva censurare l’entità delle spese. Se il redditometro imputava 100.000 euro di reddito, non poteva in alcun modo dimostrare che in realtà le spese potevano legittimare al massimo 50.000 euro di reddito. O dimostrava di avere fonti di reddito (non derivanti da evasione, come donazioni di familiari dimostrate) coerenti con i 100.000 euro o soccombeva.

In estrema sintesi, queste sono le ragioni che hanno spinto il legislatore a correre ai ripari con il DL 78/2010 ove in primo luogo si è previsto un doppio step procedimentale a tutela del contribuente:
– prima, egli deve fornire chiarimenti in merito alle spese imputabili applicando gli indici;
– in un momento successivo viene avviata la fase di accertamento con adesione.

È stato così emanato il DM 24 dicembre 2012, poi aggiornato dal DM 16 settembre 2015.
Si trattava di una versione molto più soft del redditometro, non a caso era venuto meno il tanto temuto effetto “boomerang” della restituzione delle rate di mutuo.
Per il possesso di certi beni come le auto, il decreto imputava spese presunte ma in misura inferiore.