La «prova logica» deve avere a oggetto un fatto penalmente rilevante e sufficientemente identificato nella sua tipologia

Di Maria Francesca ARTUSI

La giurisprudenza penale ha più volte affermato che, ai fini della configurabilità del reato di riciclaggio, non si richiedono l’esatta individuazione e l’accertamento giudiziale del delitto presupposto, essendo sufficiente che lo stesso risulti, alla stregua degli elementi di fatto acquisiti e interpretati secondo logica, almeno astrattamente configurabile. Tuttavia, ciò non esonera il giudice dalla necessità di individuare la tipologia dell’illecito che sta all’origine del bene oggetto dell’attività di riciclaggio (cfr. Cass. n. 29074/2018).

La sentenza n. 19133, depositata ieri dalla Cassazione, torna sul tema del c.d. riciclaggio “innominato” fissando alcuni principi e criteri di accertamento.
Se è vero che l’esistenza del delitto presupposto può essere affermata anche “in via logica”, tale affermazione è stata ribadita prevalentemente in sede cautelare; in special modo, in sede di sequestro “probatorio” che, ordinariamente, interviene all’origine della indagine quando l’unico elemento oggettivamente acquisito è quello della disponibilità “ingiustificata” di denaro o di beni solo talvolta detenuti con modalità tali da consentire di inferire, da tale circostanza di fatto, la loro provenienza delittuosa. In queste situazioni è proprio il “momento procedimentale” a giustificare il mantenimento del sequestro in quanto finalizzato a consentire l’approfondimento degli accertamenti utili a risalire alla origine del denaro o dei beni e, pertanto, alla individuazione (che raramente può essere “autoevidente”) del delitto da cui provengano.

Diverso è il caso affrontato dalla pronuncia qui in commento, ove le indagini erano state completate e gli imputati tratti a giudizio con una imputazione che avrebbe dovuto dar conto della provenienza del denaro il cui trasferimento all’estero e, più in particolare, in Cina, attraverso alcune agenzie di money transfert e degli intermediari, viene qualificato in termini di riciclaggio ai sensi dell’art. 648-bis c.p. L’origine delittuosa del denaro trasferito, infatti, rappresenta un elemento costitutivo della fattispecie tanto che l’insufficienza della prova sul punto comporta la assoluzione dell’imputato per insussistenza del fatto.

La Cassazione si interroga, dunque, sulla possibilità di affermare la sostanziale “indifferenza” del dato concernente la identificazione del delitto presupposto e delle sue componenti essenziali, in particolar modo quando gli illeciti originari sono rappresentati da reati tributari caratterizzati dalla previsione di soglie di punibilità (nel caso di specie l’infedele e l’omessa dichiarazione previste rispettivamente dagli artt. 4 e 5 del DLgs. 74/2000).

Se da un lato concorda nel senso della rilevanza della “prova logica” o della non necessità di un loro autonomo accertamento giudiziale, d’altra parte osserva che la stessa “prova logica” deve avere a oggetto un fatto penalmente rilevante e sufficientemente identificato nella sua tipologia. Inoltre, altra e ben diversa cosa è la prova di una provenienza genericamente illecita e che, di fatto, si risolve nella sua “ingiustificatezza”.