Di Maurizio MEOLI

Sulla corretta individuazione del profitto confiscabile in caso di riciclaggio, reimpiego o autoriciclaggio esistono differenti orientamenti.
Secondo un primo indirizzo, la confisca (anche per equivalente) del profitto di tali reati sarebbe applicabile solo con riferimento al valore del vantaggio patrimoniale effettivamente conseguito dal “riciclatore” e non sull’intera somma derivante dalle operazioni poste in essere dall’autore del reato presupposto.

Non vi sarebbe, infatti, alcuna ragione per cui il “riciclatore” dovrebbe rispondere di tutta la somma riciclata, laddove, in realtà, ad avvantaggiarsene sia stato un terzo (l’autore del reato presupposto), perché si finirebbe per sanzionare il riciclatore (con una confisca per equivalente o diretta in caso di denaro) per un profitto di cui non ha mai goduto, contravvenendo, quindi, alla regola generale sottostante alle confische (in specie quella per equivalente), secondo la quale la suddetta sanzione non può colpire il patrimonio dell’autore del reato in misura superiore al vantaggio economico derivatogli dalla commissione di un determinato reato (così Cass. n. 30899/2020).

Si è altresì sottolineato come tale conclusione dovrebbe fondarsi anche sul fatto che non è ipotizzabile alcun concorso tra i responsabili dei reati presupposto e coloro che hanno commesso i reati destinati alla ripulitura dei proventi illeciti (cfr. Cass. nn. 2879/2022 e 2166/2023). Nel caso dell’autoriciclaggio, poi, si dovrebbe guardare ai proventi conseguiti dall’impiego dei beni di provenienza illecita in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative; ove, invece, “si volesse far coincidere – sic et simpliciter – il profitto del reato presupposto con quello di autoriciclaggio, non vi sarebbe spazio alcuno per l’applicabilità dell’art. 648-quater c.p., proprio perché, essendo il provento del reato presupposto, a sua volta, confiscabile, non sarebbe ammissibile una duplicazione della confisca della stessa somma di denaro (o dello stesso bene). Si finirebbe, infatti, per violare il principio fondamentale secondo il quale si può sequestrare (e confiscare) solo il vantaggio economico di diretta e immediata derivazione causale da ogni reato commesso, ma non si può duplicare la somma confiscabile perché si sanzionerebbe l’agente in assenza di un vantaggio economico … derivante dal reato di autoriciclaggio, violando così il divieto del ne bis in idem” (così Cass. n. 30401/2018).

Un diverso orientamento ritiene, al contrario, che il profitto dei reati di riciclaggio, reimpiego e autoriciclaggio di denaro di provenienza illecita sia rappresentato dal valore delle somme che, in assenza di operazioni di ripulitura, sarebbero destinate a essere sottratte definitivamente alla disponibilità dell’autore del reato presupposto (in quanto oggetto di confisca ex art. 240 c.p.); così, infatti, si realizzerebbe il vantaggio patrimoniale costituente il profitto del reato, in quanto la condotta dei reati in questione assicura l’integrale disponibilità giuridica dei valori riciclati, consentendone l’utilizzazione sia attraverso il godimento diretto che mediante il reimpiego in altre attività (cfr. Cass. nn. 34218/2020 e 37120/2019).

La Corte di Cassazione, peraltro, nella sentenza n. 18184/2024, ha affermato che tali posizioni vanno rimeditate alla luce delle fonti sovranazionali (cfr., in particolare, le Convenzioni di Strasburgo dell’8 novembre 1990 e di Varsavia del 16 maggio 2005, nonché la direttiva 2014/42/Ue, su congelamento e confisca dei beni strumentali e dei proventi da reato).