L’applicazione della L. 49/2023 nelle gare pubbliche non restringe la concorrenza

Di Monica VALINOTTI

A quasi un anno dall’entrata in vigore (il 20 maggio 2023) della L. 49/2023, che ha introdotto l’equo compenso per i professionisti, sono stati manifestati dubbi circa la compatibilità della nuova disciplina con principi cardine del diritto dell’Unione europea, quali il diritto alla libertà di stabilimento e quello di libera concorrenza.

Di recente è intervenuta sul tema anche l’ANAC, che, nella nota inviata lo scorso 19 aprile alla Cabina di regia (istituita ex art. 221 del DLgs. 36/2023), al Ministro dell’Economia e al Ministro delle Infrastrutture, ha sostenuto l’inapplicabilità della disciplina sull’equo compenso alle gare pubbliche aventi a oggetto l’affidamento di servizi di architettura e di ingegneria, adducendo a sostegno di questa tesi, tra l’altro, un possibile contrasto della relativa normativa rispetto al diritto dell’Unione europea.

Nella suddetta nota, in particolare, l’ANAC ha richiamato la sentenza della Corte di Giustizia del 25 gennaio 2024, resa nella causa C-438/22, in cui si è stabilito che l’inderogabilità dei minimi tariffari previsti, per gli avvocati, dal Consiglio superiore dell’Ordine forense della Bulgaria configura una illegittima restrizione della concorrenza (si veda “Onorari professionali inderogabili restrittivi della concorrenza” del 29 gennaio 2024).

A fronte di tali rilievi, peraltro, si pone l’opposta tesi della piena compatibilità della disciplina dell’equo compenso rispetto al diritto europeo, recentemente sostenuta dalla giurisprudenza amministrativa.
Sul tema, il TAR del Veneto, nella sentenza n. 632/2024, ha osservato come una restrizione della libertà di stabilimento e di prestazione di servizi sia configurabile solo in presenza di misure che vietino, ostacolino o scoraggino l’esercizio di tali libertà; ossia di misure che, “per quanto indistintamente applicabili, pregiudichino l’accesso al mercato per gli operatori economici di altri Stati membri”. Per contro, le disposizioni in materia di equo compenso non pregiudicherebbero l’accesso – in condizioni di concorrenza “normali ed efficaci” – al mercato italiano da parte di operatori economici di altri Stati dell’Unione. Anzi, esse si tradurrebbero in un rafforzamento delle tutele e dell’interesse alla partecipazione alle gare pubbliche, producendo addirittura l’effetto di favorire la concorrenza.