Il Notariato analizza un complesso profilo correlato all’obbligo di segnalare operazioni sospette
Il Consiglio nazionale del Notariato, nello Studio n. 3-2024/B, si sofferma sulla astratta possibilità che l’omessa segnalazione di operazioni sospette di riciclaggio (SOS) integri il concorso in esso.
Ai sensi dei commi 1 e 2 dell’art. 58 del DLgs. 231/2007, infatti, “salvo che il fatto costituisca reato”, ai soggetti obbligati che omettano di effettuare la SOS, si applica una sanzione amministrativa pecuniaria pari a 3.000 euro; ma nelle ipotesi di violazioni gravi, ripetute o sistematiche ovvero plurime, si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da 30.000 a 300.000 euro.
Il legislatore, quindi, prevede espressamente che l’omessa SOS potrebbe, in qualche modo, costituire elemento di una fattispecie punita come reato (in particolare, il concorso nel reato di riciclaggio).
A fronte di ciò, occorre considerare, da un lato, il fatto che la nozione penale di riciclaggio non coincide, perché più ristretta, con quella amministrativa, e, dall’altro, quanto contemplato dall’art. 35 comma 1 del DLgs. 231/2007, in forza del quale, i destinatari degli obblighi antiriciclaggio, “prima di compiere l’operazione, inviano senza ritardo alla UIF, una segnalazione di operazione sospetta quando «sanno, sospettano o hanno motivi ragionevoli per sospettare» che siano in corso o che siano state compiute o tentate operazioni di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo o che comunque i fondi, indipendentemente dalla loro entità, provengano da attività criminosa”.
“Sapere”, “sospettare” e “avere motivi ragionevoli per sospettare” sono tre situazioni differenti che non possono che avere ricadute diverse sull’eventuale coinvolgimento nel reato da parte del destinatario dell’obbligo di SOS. Il sospettare e l’avere motivi ragionevoli per sospettare, infatti, difficilmente potrebbero far rientrare la condotta omissiva nell’area del dolo, anche nella forma attenuata del dolo eventuale, perché ci si trova in presenza di un mero sospetto, ovvero di una rappresentazione della realtà basata su un grado di incertezza che può sorreggere un’attività di prevenzione amministrativa, qual è l’obbligo di SOS, ma che non è connotata da quegli elementi di ragionevole certezza in grado di far ipotizzare che il destinatario degli obblighi antiriciclaggio abbia intenzionalmente voluto concorrere nella commissione del reato di riciclaggio attraverso un comportamento omissivo.
Resta il caso in cui il professionista sappia che sono in corso o che sono state compiute o tentate operazioni di riciclaggio o che comunque i fondi, indipendentemente dalla loro entità, provengono da attività criminosa. Rispetto a tale ipotesi, alla luce delle indicazioni fornite dalle sentenze nn. 38343/2014 e 12433/2010 delle Sezioni Unite della Cassazione, affinché la condotta possa considerarsi dolosa, non è sufficiente la mera rappresentazione – la conoscenza del fatto (la provenienza delle somme da attività criminosa) – ma è necessario che accanto all’aspetto intellettivo, della conoscenza, ci sia la prova oggettiva della volontà, attraverso la condotta omissiva, di realizzare l’evento criminoso punito dalla norma penale.