È necessario che tale modello sia reso operativo e che sia anche «idoneo» a prevenire la commissione di reati della stessa specie
Ai sensi dell’art. 6 del DLgs. 231/2001, tra le condizioni di esclusione della responsabilità dell’ente (o meglio della “colpa di organizzazione” dello stesso) vi sono l’avere (comma 1 lett. a) adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi, nonché aver affidato (lett. b) il compito di vigilare sul funzionamento e l’osservanza dei modelli di curare il loro aggiornamento a un organismo dell’ente dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo.
Il modello organizzativo può però assumere un ruolo anche quando sia stato adottato “post factum”, cioè successivamente alla commissione dell’illecito. In tali ipotesi, sebbene non venga eliminata la responsabilità dell’ente per il fatto avvenuto, il legislatore incentiva l’adozione dei modelli collegando a questa importanti benefici (artt. 12, 17, 49, 78 del DLgs. 231/2001).
In particolare, l’art. 12 del DLgs. 231/2001 stabilisce che la sanzione pecuniaria è ridotta da un terzo alla metà se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado è stato adottato e reso operativo un modello organizzativo idoneo a prevenire reati della specie di quello verificatosi.
Inoltre, il modello organizzativo può rappresentare uno degli elementi per l’esclusione dell’applicazione delle sanzioni interdittive, in virtù di quanto previsto dall’art. 17 lett. b) del decreto.
Attraverso il richiamo a tale art. 17, l’adozione di misure organizzative adeguate ed efficacemente attuate diviene il presupposto per la sospensione delle misure cautelari (art. 49 del DLgs. 231/2001).
Infine, l’art. 78 del DLgs. 231/2001 prevede che l’ente che ha posto in essere tardivamente le condotte di cui all’art. 17, entro venti giorni dalla notifica dell’estratto della sentenza, possa richiedere la conversione della sanzione amministrativa interdittiva in sanzione pecuniaria.
Per valutare l’adeguatezza di tale modello si dovranno usare criteri analoghi a quelli che giurisprudenza e dottrina hanno elaborato per i casi in cui tale documento sia stato adottato precedentemente, salvo le dovute differenze portate dal fatto che il rischio si è già verificato.
Gli ormai numerosi processi nei confronti delle società dimostrano che la responsabilità da reato degli enti e, in particolare, la loro “colpa di organizzazione”, non deriva dall’aver adottato un modello organizzativo inadeguato e inidoneo a prevenire reati, quanto dalla circostanza che i protocolli e le misure di prevenzione del rischio non sono di fatto rispettati. In sostanza, è assai raro che i pubblici ministeri, prima, e i giudici, poi, ritengano i modelli organizzativi inadeguati, inutili, inefficaci: le censure formulate in sede giudiziale riguardano la circostanza che proprio gli strumenti che quei modelli prevedevano, e che li rendevano idonei a prevenire il reato, nella concreta operatività dell’azienda non sono poi stati posti in essere. È facile mettere su carta un assetto logistico dell’impresa funzionale all’obiettivo di eliminare il rischio-reato, mentre quello che è difficile è rispettare i precetti che tale assetto impone (si veda “La certificazione dei modelli 231 non è sufficiente” del 6 marzo 2017).