Rileva ogni atto di disposizione del patrimonio che abbia la sua causa nel pregiudizio alle ragioni creditorie dell’Erario

Di Maria Francesca ARTUSI

Il delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte può concretizzarsi anche attraverso lo strumento dell’affitto del ramo d’azienda.
Tale impostazione è stata confermata da diverse pronunce della giurisprudenza di legittimità, tra cui – da ultimo – la sentenza n. 7041 depositata ieri dalla Cassazione.

Il reato in questione sanziona chiunque, al fine di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto, ovvero di interessi o sanzioni amministrative relativi a dette imposte, per un ammontare complessivo superiore a 50.000 euro, aliena simulatamente o compie altri atti fraudolenti sui propri o su altrui beni, idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva.

Attraverso l’incriminazione della condotta prevista dall’art. 11 del DLgs. 74/2000 il legislatore ha inteso evitare che il contribuente si sottragga al suo dovere di concorrere alle spese pubbliche creando una situazione di apparenza tale da consentirgli di rimanere nel possesso dei propri beni fraudolentemente sottratti alle ragioni dell’Erario (cfr. Cass. n. 3011/2016 e Cass. n. 36290/2011).

La norma punisce due distinte condotte: l’alienazione simulata e il compimento di atti fraudolenti. Per quanto qui di interesse, per atto fraudolento deve intendersi qualsiasi atto che, non diversamente dalla alienazione simulata, sia idoneo a rappresentare ai terzi una realtà (la riduzione del patrimonio del debitore) non corrispondente al vero, mettendo a repentaglio o comunque rendendo più difficoltosa l’azione di recupero del bene in tal modo sottratto alle ragioni dell’Erario (cfr. Cass. n. 3011/2016).

Secondo il costante indirizzo della giurisprudenza, si tratta di reato di pericolo concreto; in ossequio al principio di offensività, si deve valutare l’idoneità ex ante dell’atto a mettere in pericolo la garanzia patrimoniale del debito erariale. La diminuzione della garanzia può essere anche solo parziale, non necessariamente totale (Cass. n. 6798/2016), purché effettivamente in grado di mettere a rischio l’esazione del credito.

La condotta, dunque, può essere posta in essere con ogni atto di disposizione del patrimonio che abbia la sua causa nel pregiudizio alle ragioni creditorie dell’Erario. Il carattere fraudolento di determinate operazioni negoziali presuppone che l’attività fraudolenta sia nascosta attraverso lo schermo formale di attività o documenti apparentemente regolari o l’adozione di un atto formalmente lecito – come l’alienazione di un bene – però caratterizzato da una componente di artificio o di inganno (Cass. n. 40319/2016 e Cass. n. 25677/2012).

Venendo al tema specifico dell’affitto di azienda, la giurisprudenza ha già affermato che il reato ex art. 11 del DLgs. 74/2000 si può concretizzare con tale forma negoziale ove risulti che si tratti di un atto fraudolento (cfr. Cass. n. 40319/2016). Ciò in quanto la natura del delitto in esame, come fattispecie di pericolo non impone che dall’atto apparentemente dispositivo consegua una effettiva erosione nell’area di garanzia dei crediti erariali costituita dal patrimonio del debitore, essendo sufficiente che si determini la semplice probabilità, da valutare al momento del compimento dell’atto stesso, che l’attività recuperatoria dell’Amministrazione finanziaria possa essere impedita.
(cfr. anche Cass. n. 31944/2015).

Così argomentando, i giudici della Cassazione rigettano il ricorso avverso il sequestro preventivo disposto nei confronti di una srl, in cui l’azienda oggetto del contratto di affitto è stata ritenuta il profitto del reato da confiscare ai sensi dell’art. 12-bis del DLgs. 74/2000.

In proposito viene altresì richiamata quell’interpretazione per cui il profitto, confiscabile, anche nella forma per equivalente, del reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte va individuato nella riduzione simulata o fraudolenta del patrimonio del soggetto obbligato e, quindi, consiste nel valore dei beni idonei a fungere da garanzia nei confronti dell’Amministrazione finanziaria che agisce per il recupero delle somme evase costituenti oggetto delle condotte artificiose considerate dalla norma. Il profitto, pertanto, non va individuato nell’ammontare del debito tributario rimasto inadempiuto.