Con il DLgs. 150/2022 novità anche sull’esercizio dell’azione penale nel processo penale triburario

Di Ciro SANTORIELLO

Il sistema penale, tanto sul lato sostanziale quanto su quello processuale, è interessato da profonde modifiche a seguito dell’entrata in vigore del DLgs. 150/2022 che dà attuazione alla c.d. riforma Cartabia. Anche il diritto penale tributario può dirsi investito da significative modifiche che, però, in quest’ambito non hanno interessato la parte sostanziale (non vi sono cambiamenti per gli illeciti del DLgs. 74/2000), quanto diversi istituti di carattere processuale, di modo che, in diverse ipotesi e circostanze, lo svolgimento dei procedimenti penali per i reati fiscali seguirà cadenze diverse rispetto a quelle precedenti.

In primo luogo, alcune modifiche hanno interessato le indagini preliminari. Ci si riferisce in particolare all’iscrizione della notizia di reato e alla durata delle stesse.
Quanto al secondo aspetto, sono stati rimodulati i termini di durata delle indagini, in funzione della natura dei reati per cui si procede, disciplinando altresì la proroga dei termini (che può essere ora richiesta una sola volta e solo per “la complessità delle indagini”). In particolare, e in relazione ai reati fiscali, è previsto che il pubblico ministero debba concludere le indagini preliminari entro il termine di un anno dalla data in cui il nome della persona alla quale ha attribuito il reato è iscritto nel registro delle notizie di reato; questo termine può essere prorogato una sola volta, quando le indagini sono complesse (evenienza non rara nella materia in esame: si pensi a investigazioni su frodi carosello o ad altre frodi fiscali) per un tempo non superiore a 6 mesi. I termini in parola, quindi, non possono superare i 18 mesi, salve alcune limitate eccezioni, che consentono lo svolgimento di indagini per 2 anni.

Il tassativo ed effettivo rispetto di tale termine è garantito dalla nuova disciplina in tema di controllo della tempestività dell’iscrizione del nominativo dell’indagato (artt. 335-bis335-ter e 335-quater c.p.p.), che impedisce al PM di protrarre per un tempo indefinito le indagini ritardando tale iscrizione e facendo così artificiosamente slittare in avanti il momento dal quale decorre il termine per la conclusione delle investigazioni. Per evitare tale prassi, posta in essere in violazione del diritto alla conoscenza delle indagini da parte dell’interessato e delle garanzie riconosciute all’indagato, si è previsto all’art. 335-quater c.p.p. che la persona sottoposta alle indagini possa chiedere al giudice che procede o, nel corso delle indagini preliminari, al giudice per le indagini preliminari, di accertare la tempestività dell’iscrizione della notitia criminis (oggettiva e soggettiva) e di retrodatare l’iscrizione, indicando a pena di inammissibilità le ragioni che sorreggono la richiesta e gli atti del procedimento dai quali è desumibile il ritardo.

L’obiettivo con cui le difese possono far ricorso a tale procedura è evidente, posto che la retrodatazione dell’iscrizione determinerà un nuovo termine di decorrenza delle investigazioni e la conseguente inutilizzabilità degli atti e delle attività di prova posta in essere dopo la scadenza del termine come ricalcolato. Può dirsi, dunque, che si tratta di una riforma che, nel garantire la correttezza anche temporale dell’iscrizione, ha effetti sui termini di durata delle indagini in quanto questi decorrono dalla formale e corretta iscrizione.

Analoghe considerazioni possono essere formulate con riferimento alla disciplina della riapertura delle indagini, autorizzata dal giudice su richiesta del pubblico ministero. Non raramente, infatti, la normativa veniva elusa mediante una surrettizia archiviazione del procedimento penale, di cui poi si richiedeva la riapertura con conseguente decorrenza di nuovi termini. Oggi, il ricorso a questa procedura è reso più difficoltoso dalla circostanza che si prevede che la richiesta sia respinta quando non è ragionevolmente prevedibile l’individuazione di nuove fonti di prova che possano determinare l’esercizio dell’azione penale.

Va poi sottolineato che, anche per i reati tributari, almeno nell’intento del legislatore, non si dovrebbe più assistere allo svolgimento di processi penali privi di adeguato supporto probatorio ottenuto dal pubblico ministero nella fase delle indagini, sperando che un tale approfondimento istruttorio possa essere ottenuto (non si sa bene come) in sede dibattimentale davanti al giudice.

Per ottenere questo risultato, da un lato, si prevede che il PM debba avanzare richiesta di archiviazione non quando, come previsto in precedenza, risulti “l’infondatezza della notizia di reato”, ma, con formula più rigorosa, quando sia impossibile formulare, sulla base degli elementi acquisiti nel corso delle indagini, una ragionevole previsione di condanna o di applicazione di una misura di sicurezza diversa dalla confisca. E, dall’altro lato – con corrispondente previsione – che in sede di udienza preliminare il giudice emetta sentenza di non luogo a procedere anche quando gli elementi acquisiti non consentono di formulare una ragionevole previsione di condanna (il che, secondo alcuni autori, significa che il GUP deve mandare a giudizio l’imputato per reati fiscali nei soli casi in cui ritenga che, se lo avesse giudicato in sede di giudizio abbreviato, lo avrebbe condannato).