La disciplina degli acconti di liquidazione vale anche per l’attribuzione anticipata di crediti non scaduti

Di MAURIZIO MEOLI

È nulla la convenzione che comporta la violazione dei limiti previsti per la ripartizione tra i soci di acconti sul risultato della liquidazione. Ad affermarlo, da quanto ci consta, per la prima volta in seguito alla riforma del diritto societario, è il Tribunale di Verona, nella sentenza n. 549/2022.

Ai sensi dell’art. 2491 comma 2 c.c., “i liquidatori non possono ripartire tra i soci acconti sul risultato della liquidazione, salvo che dai bilanci risulti che la ripartizione non incide sulla disponibilità di somme idonee alla integrale e tempestiva soddisfazione dei creditori sociali”.
Il previgente art. 2452 comma 1 c.c. – attraverso il richiamo all’art. 2280 c.c. (ancora in vigore per le società di persone) – vietava ai liquidatori di ripartire ai soci, anche parzialmente, i beni sociali fino a quando non fossero stati pagati tutti i creditori sociali o non fossero state accantonate le somme necessarie per pagarli.

La distribuzione ai soci di acconti sul risultato della liquidazione, invece, è oggi ammessa a condizione che dai bilanci risulti che tale ripartizione anticipata e parziale (effettuata prima dell’approvazione del bilancio finale di liquidazione) non incida sulla disponibilità delle somme idonee a soddisfare i creditori sociali.
Diversamente, i liquidatori, dal punto di vista civilistico, sarebbero personalmente e solidalmente responsabili dei danni cagionati ai creditori sociali (ex art. 2491 comma 3 c.c.), e, dal punto di vista penalistico, ne risponderebbero ex art. 2633 c.c., in caso di querela.

Il fatto che la norma non parli più di accantonamento, ma di “disponibilità”, induce a ritenere che, a seguito della riforma, la distribuzione di acconti di liquidazione non sia più subordinata all’accantonamento materiale (ossia al deposito presso un terzo) dei mezzi liquidi occorrenti per l’estinzione delle passività, essendo, invece, sufficiente un mero accantonamento contabile. Secondo alcuni, peraltro, sarebbe anche possibile un’interpretazione più ampia, in base alla quale risulterebbe ammessa la distribuzione di acconti sul risultato di liquidazione anche quando la società non abbia la disponibilità immediata (né materiale, né contabile) delle somme necessarie al pagamento dei debiti sociali, ma conti di disporre delle stesse nel momento in cui i suddetti debiti verranno a scadenza.

In ogni caso, la ripartizione anticipata non deve essere tale da pregiudicare le ragioni dei creditori sociali, sotto il profilo della soddisfazione tempestiva e integrale.
Ciò implica che la decisione di versare acconti ai soci deve essere sempre preceduta da un’attenta valutazione, da parte dei liquidatori, delle ripercussioni dell’operazione sulla posizione dei creditori sociali, potendo essere attuata soltanto nell’ipotesi in cui essa non intacchi le somme necessarie per l’integrale soddisfazione dei crediti di questi ultimi e non si riveli nemmeno potenzialmente suscettibile di incidere sui tempi di pagamento dei debiti sociali.

Nel caso affrontato dal Tribunale di Verona non si operava una diretta assegnazione di acconti da parte della società in liquidazione, ma, in esito a un complesso accordo, un suo socio veniva riconosciuto beneficiario di una transazione conclusa dalla società, nonostante questa non avesse le risorse necessarie per soddisfare integralmente e tempestivamente i creditori sociali.

Rispetto a ciò, il giudice veronese osserva, in primo luogo, come nel divieto sancito dal ricordato art. 2491 comma 2 c.c. rientri anche la attribuzione anticipata di un credito non scaduto.
Dalla violazione del divieto, inoltre, si ritiene che consegua la nullità della ricordata transazione. Il divieto, infatti, ha carattere imperativo, in considerazione sia della sua formulazione testuale, sia della tutela degli interessi che esso ha di mira, che non sono solo quelli connessi alla ripartizione dei beni sociali, bensì soprattutto quelli dei terzi creditori ad essa estranei e che da essa possono essere pregiudicati.

A supporto di tale decisione, si citano talune sentenze intervenute sul previgente quadro normativo, tra cui, in particolare, la Cassazione n. 17585/2005, che sanciva la nullità di una convenzione parasociale connotata dall’assegnazione ai soci di una spa in liquidazione di diritti della società, evidenziando come il divieto, per i liquidatori, di ripartire tra i soci, anche solo parzialmente, i beni sociali, finché non si fossero pagati i creditori sociali o non si fossero accantonate le somme necessarie per pagarli, risultasse posto a tutela dei creditori: la legge voleva che, in sede di liquidazione, essi fossero prioritariamente soddisfatti, e non già meramente garantiti dal patrimonio della società, ed ammetteva, quale unica alternativa al pagamento, l’accantonamento formale delle somme liquidate nella contabilità della società. A nulla valeva richiamarsi alla garanzia generica offerta dal capitale iscritto o alla successiva liquidazione con piena soddisfazione dei creditori.

Alla luce di tali indicazioni, ora, il Tribunale di Verona sottolinea come la riforma del diritto societario, pur avendo reso meno rigido il divieto in questione, non abbia fatto venir meno le ragioni che ne fondano la natura imperativa.