L’IVA sarà dovuta però solo per le operazioni effettuate dopo il superamento del limite

Di PAOLA RIVETTI

La bozza del disegno di legge di bilancio 2023 in circolazione conferma le anticipazioni diffuse nei giorni scorsi in ordine all’ampliamento dell’ambito applicativo del regime forfetario di cui alla L. 190/2014 e all’introduzione di una “flat tax incrementale” del 15% per imprenditori individuali e professionisti non in regime forfetario, applicabile ad una base imponibile corrispondente all’aumento di reddito registrato nel 2023 rispetto al maggiore fra quelli del 2020, 2021 e 2022 e comunque non superiore a 40.000 euro.

Rispetto al regime forfetario, la modifica riguarderebbe principalmente il limite di accesso e permanenza relativo ai ricavi e ai compensi di cui all’art. 1 comma 54 lett. a) della L. 190/2014, che passerebbe da 65.000 a 85.000 euro.
Si segnala che il Consiglio dell’Ue aveva autorizzato l’Italia ad esentare dall’IVA i soggetti passivi con volume d’affari annuo non superiore a 65.000 euro fino al 31 dicembre 2024 (art. 1 della decisione Ue 11 maggio 2020 n. 647). L’incremento della soglia richiederà un’ulteriore autorizzazione UE che – ove rilasciata, come pare prevedibile – consentirebbe all’Italia di anticipare l’aumento della soglia di esenzione a 85.000 euro che sarà comunque operativa a livello generalizzato dal 2025, per effetto dell’art. 284 della direttiva 2006/112/Ce (si veda “Applicabile la soglia di 65.000 euro per il regime di franchigia IVA” del 15 maggio 2020).

La convenienza della modifica in termini fiscali è tangibile già dalle prime esemplificazioni. Considerando l’ipotesi del professionista iscritto a Cassa con compensi incassati pari a 85.000 euro e contributi previdenziali per 8.000 euro, con il regime forfetario l’imposta sostitutiva di IRPEF e addizionali ammonterebbe a 8.745 euro. Tale risultato si ottiene applicando l’abbattimento forfetario dei costi del 22% ai compensi e sottraendo dal risultato ottenuto i contributi deducibili.
Nel regime ordinario, invece, alle medesime condizioni e ipotizzando i costi effettivi equivalenti a quelli stimati nel regime forfetario, il carico complessivo sarebbe di 19.718 euro, con l’IRPEF a 17.969 euro (aliquota media 30,82%) e le addizionali a 1.749 euro se stimate nel 3%.

Va comunque ricordato che i parametri del confronto possono variare sensibilmente in base alla tipologia di attività svolta (per altre attività il coefficiente di redditività è del 40%), all’incidenza dei costi reali inerenti rispetto alla quota forfetizzata, oppure se è possibile fruire di deduzioni dal reddito complessivo IRPEF e/o di detrazioni d’imposta. In tale contesto va tenuto conto che, a seguito delle modifiche operative dal 2022, la detrazione di cui all’art. 13 comma 5 del TUIR per i redditi di lavoro autonomo e dell’impresa minore non spetta ai titolari di un reddito complessivo superiore a 50.000 euro e la detrazione per figli a carico opera in misura limitata a seguito dell’applicazione a regime dell’assegno unico. Inoltre occorre considerare che il carico contributivo è diverso tra i soggetti iscritti a Cassa e quelli iscritti all’INPS.
Ciò detto, pur nella sua semplicità, l’esemplificazione proposta rende evidente come il divario in termini impositivi che può crearsi tra regime forfetario e ordinario potrebbe essere tale da generare comportamenti distorsivi volti a contenere ricavi e compensi entro la soglia di 85.000 euro, come peraltro paventato dallo stesso MEF nella relazione sull’economia non osservata e sull’evasione fiscale e contributiva del 2022.

In ogni caso, fino al raggiungimento di una soglia di ricavi di circa 115.00 euro, supponendo che l’incidenza dei costi resti ferma al 22%, il netto disponibile di un professionista in regime ordinario sarà inferiore a quello di un forfetario. In altri termini, il reddito incrementale è interamente incamerato dall’Erario, lasciando aperto il dubbio della tenuta costituzionale del sistema sia con riferimento al principio di capacità contributiva che a quello di uguaglianza.

L’ulteriore modifica al regime forfetario interesserebbe il comma 71 della L. 190/2014 in cui, in deroga alla regola generale della fuoriuscita dall’anno successivo, verrebbe disposta la cessazione del regime dall’anno stesso in cui i ricavi o i compensi percepiti sono superiori a 100.000 euro. Ciò determinerebbe l’assoggettamento a IRPEF del reddito d’impresa o di lavoro autonomo dell’intero anno e l’applicazione dell’IVA “a partire dalle operazioni effettuate che comportano il superamento del predetto limite”.

Ad una prima lettura, parrebbe che l’IVA sia dovuta solo a partire dall’operazione che determina il superamento del limite e per quelle successive, facendo salva l’esclusione dall’imposta per le operazioni precedenti già fatturate. Il legislatore sembra orientato a trovare una soluzione più semplice rispetto al regime di vantaggio in cui la fuoriuscita immediata determinava l’applicazione dell’IVA per l’intero anno solare, con previsione di scorporo per le operazioni già effettuate. L’applicazione pratica di tale principio non sembra tuttavia immediata per quelle operazioni unitarie che si porranno a cavallo del limite di 100.000 euro, per cui, se verrà confermata tale impostazione, è probabile che si dovrà provvedere alla suddivisione della base imponibile.