La Cassazione sottolinea come esso possa essere anche solo concretamente e fondatamente prevedibile

Di MAURIZIO MEOLI

In relazione alla fattispecie di bancarotta fraudolenta da distrazioni infragruppo, per invocare la causa di esclusione della punibilità dei c.d. “vantaggi compensativi” occorre provare, da un lato, l’esistenza di un gruppo societario civilisticamente inteso (ovvero una attività di direzione e di coordinamento connotata da un piano imprenditoriale comune, con predisposizione di bilanci consolidati e con rispetto della prescritte forme di pubblicità) e, dall’altro, il saldo positivo per le società (non tanto nel loro insieme considerate, quanto per quella direttamente interessata dal distacco di attività patrimoniali).
Ad affermarlo è la Cassazione, nella sentenza n. 40391/2022.

In tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione, al fine di configurare la sussistenza di eventuali vantaggi compensativi nel contesto di un gruppo di società occorre, innanzitutto, che tra di esse sia presente una attività di direzione e coordinamento riconducibile al soggetto giuridico controllante (cfr. Cass. n. 31997/2018). Vale a dire che la nota caratterizzante del gruppo societario civilisticamente inteso (ex artt. 2497 e ss. c.c.) non è da ravvisare nel profilo statico del controllo di una società su un’altra, ma in quello funzionale dell’attività di direzione e di coordinamento, corredata da idonea pubblicità (ex art. 2497-bis c.c.).

Quanto ai vantaggi compensativi, è da osservare come già, ai fini risarcitori, l’ultimo periodo del primo comma dell’art. 2497 c.c. precisi come non vi sia responsabilità da abusiva attività di direzione e coordinamento quando il danno risulti mancante alla luce del risultato complessivo dell’attività. In ambito penalistico, invece, la norma da prendere in considerazione è l’art. 2634 c.c., in tema di “infedeltà patrimoniale”. Tale fattispecie, infatti, punisce con la reclusione da sei mesi a tre anni gli amministratori, i direttori generali e i liquidatori, che, avendo un interesse in conflitto con quello della società, al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o altro vantaggio, compiono o concorrono a deliberare atti di disposizione dei beni sociali, cagionando intenzionalmente alla società un danno patrimoniale. In ogni caso, non è ingiusto il profitto della società collegata o del gruppo, se compensato da vantaggi, conseguiti o fondatamente prevedibili, derivanti dal collegamento o dall’appartenenza al gruppo.
Tale ultima previsione, in pratica, esclude la rilevanza penale dell’atto depauperatorio se la società apparentemente danneggiata abbia fruito o sia in grado di fruire di situazioni vantaggiose in ragione della sua appartenenza a un gruppo di società.

Si tratta di una disposizione che riconosce valenza normativa a principi già desumibili dal sistema – in ragione della necessaria considerazione della reale offensività delle condotte – e applicabili anche in ambito penale fallimentare (in particolar modo, a fatti di disposizione patrimoniale contestati come distrattivi o dissipativi).

Pertanto, in presenza di un atto dell’amministratore della società di un gruppo non rispondente all’interesse della società stessa e dannoso per il patrimonio sociale, è suo onere dimostrare l’esistenza di una realtà di gruppo nel cui contesto quell’atto viene ad assumere un significato diverso. Perché, così considerato, quello stesso atto non solo risulta effettivamente in grado di realizzare un vantaggio al gruppo nel suo complesso, ma anche idoneo a compensare efficacemente gli effetti immediatamente negativi dell’operazione compiuta, in modo tale che non sia capace di incidere sulle ragioni dei creditori della società (cfr. Cass. n. 49787/2013).

Per escludere la natura distrattiva di un’operazione di trasferimento di somme da una società ad un’altra, in pratica, non basta allegare la partecipazione della società depauperata e di quella beneficiaria ad un medesimo “gruppo”, dovendosi, altresì, dimostrare, in maniera specifica, o il saldo finale positivo (per la società) delle operazioni compiute o la concreta e fondata prevedibilità di vantaggi compensativi per la società apparentemente danneggiata (cfr. Cass. n. 47216/2019, Cass. n. 16206/2017, Cass. n. 30333/2016 e Cass. n. 8253/2016).

Nel caso di specie, quindi, sono ritenute ben lontane da questa ricostruzione le deduzioni del ricorrente, secondo le quali gli spostamenti di risorse patrimoniali posti in essere tra enti imprenditoriali, tutti a lui riferibili, sarebbero leciti perché compiuti nell’ambito di un’aggregazione di imprese unitaria dal punto di vista economico.

Come evidenziato, infatti, la natura “non” distrattiva di un’operazione infragruppo non presenta nulla di intrinseco, potendo essere riconosciuta solo dimostrando, da un lato, l’esistenza di un gruppo di società civilisticamente inteso e, dall’altro, la presenza di vantaggi compensativi che riequilibrino gli effetti immediatamente negativi per la società fallita ovvero che, sulla base di una valutazione ex ante, sussista una concreta e fondata prevedibilità di benefici indiretti per la società idonei a compensare gli effetti immediatamente negativi per essa e per i suoi creditori.