La Cassazione ha considerato la mancanza di credibile giustificazione dell’omissione delle dichiarazioni da parte dell’amministratore

Di MARIA FRANCESCA ARTUSI

È principio pacifico nella giurisprudenza di legittimità che, ai fini della sussistenza del dolo specifico di evasione nel delitto di omessa dichiarazione (art. 5 del DLgs. 74/2000), non è sufficiente la mera omissione delle dichiarazioni, ma occorre provare la finalizzazione di tali omissioni all’evasione.

La prova del dolo nella fattispecie in esame sconta le difficoltà tipiche dell’accertamento di fatti che non sono accadimenti materiali esterni, ma puramente interni e che, in quanto tali, devono essere desunti indirettamente. La ricostruzione della volontà del soggetto è procedimento che passa attraverso la considerazione di tutte le circostanze esteriori che possono essere espressioni di atteggiamenti psichici o comunque accompagnarli e attraverso l’inferire da tali circostanze l’esistenza di una volizione, sulla base delle comuni regole di esperienza, rapportate al caso concreto (tra le tante, si veda Cass. n. 37856/2015).

Con riferimento a tale reato omissivo il giudice è, dunque, chiamato a prendere in esame la ricorrenza di elementi fattuali dimostrativi del fatto che il soggetto obbligato ha consapevolmente preordinato l’omessa dichiarazione all’evasione dell’imposta per quantità superiori alla soglia di rilevanza penale. In giurisprudenza sono stati considerati, quali elementi rilevanti a dimostrare il dolo specifico di evasione, ad esempio: il comportamento successivo del mancato pagamento delle imposte dovute e non dichiarate, dimostrativo della volontà preordinata di non presentare la dichiarazione (Cass. n. 16469/2020); l’entità del superamento della soglia di punibilità vigente, unitamente alla piena consapevolezza, da parte del soggetto obbligato, dell’esatto ammontare dell’imposta dovuta (Cass. n. 18936/2016); il complesso dei rapporti tra amministratore di diritto e amministratore di fatto, nell’ambito dei quali assumono decisiva valenza la macroscopica illegalità dell’attività svolta e la consapevolezza di tale illegalità (Cass. n. 2570/2019).

Facendo applicazione dei principi sin qui enunciati, la sentenza n. 39482, depositata ieri dalla Corte di Cassazione, ha confermato la responsabilità penale del legale rappresentante e amministratore unico di una importante società dedita alla costruzione di un vasto complesso immobiliare.
La sussistenza del dolo specifico di evasione è stata motivata in forza di una pluralità di indizi, ritenuti gravi, precisi e concordanti, quali: la condizione soggettiva dell’imputato, esperto imprenditore; l’entità notevole delle imposte evase pari nel complesso a oltre 334.000 euro; la mancanza di credibile giustificazione dell’omissione delle dichiarazioni da parte dell’amministratore e l’inconsistenza dell’addebito di tale omissione al commercialista della società.
La Corte ha ritenuto, inoltre, irrilevante il fatto che fosse stato presentato il modello IVA, nonché che fossero stati emessi e registrati i documenti fiscali relativi agli immobili venduti.

Per quanto riguarda, poi, la confisca del profitto di evasione, la sentenza in esame precisa che la previsione secondo cui tale confisca non opera per la parte del profitto o del prezzo del reato che il contribuente si impegna versare all’Erario anche in presenza di sequestro (all’art. 12-bis comma 2 del DLgs. 74/2000), va intesa nel senso che, per la parte coperta da tale impegno, la confisca può comunque essere adottata nonostante l’accordo rateale intervenuto. Il provvedimento non è, tuttavia, eseguibile dal momento che produce i suoi effetti solo al verificarsi del mancato pagamento del debito. Si tratta di soluzione interpretativa coerente con il consolidato orientamento di legittimità (Cass. n. 18034/2019).

Nel caso di specie era intervenuto solo l’accordo di adesione tra il contribuente e l’Amministrazione finanziaria per la rateizzazione del debito tributario, senza che fosse stata allegata la prova del pagamento neanche parziale del debito erariale cui dovrebbe corrispondere una riduzione della confisca (in applicazione del principio secondo il quale l’ablazione definitiva di un bene non può mai essere superiore al vantaggio economico conseguito dall’azione delittuosa). Sicché correttamente la confisca è stata conservata sino all’integrale effettivo pagamento del quantum evaso (cfr. anche Cass. n. 28488/2020).