Legittimi i quorum deliberativi ultra qualificati

Di Maurizio MEOLI

L’impugnazione delle delibere “negative” (non approvate) e la legittimità dei quorum deliberativi “ultra qualificati” sono i temi affrontati dall’interessante sentenza n. 6/2021 del Tribunale di Bologna.
Quanto al primo punto, si ricorda come, secondo l’orientamento maggioritario, il termine “deliberazione” indichi, genericamente, una manifestazione di volontà dell’organo assembleare, a prescindere dal suo contenuto, positivo o negativo.
La delibera costituisce la conclusione di un procedimento da valutare sotto il profilo della sua correttezza e legittimità anche quando l’esito risulti negativo (ovvero quando si traduca in una mancata delibera). Il caso tipico è il voto di un socio in conflitto di interessi che potrebbe invalidare l’esito della votazione ex art. 2343 comma 1 c.c.

Nel caso di delibera negativa l’interesse all’impugnazione sussiste quando sia possibile dimostrare che, correggendo il vizio del procedimento, l’esito sarebbe stato diverso. In pratica, tornando all’esempio citato, affinché ricorra l’interesse occorre dimostrare che, eliminando dal quorum deliberativo il voto del socio in conflitto, la delibera sarebbe stata positiva.
Tale possibilità consegue al fatto che anche la delibera negativa è potenzialmente pregiudizievole, sia in relazione alla situazione di inerzia che determina (impedendo operazioni necessarie o vantaggiose per realizzare gli scopi e gli interessi sociali), sia in relazione all’effetto “consumativo” che produce, precludendo ulteriori votazioni sull’argomento oggetto della delibera in assenza di mutamento dei presupposti fattuali o giuridici.

In sintesi, la specificità del pregiudizio che consegue a una delibera negativa – e, di riflesso, la specificità dell’interesse ad agire a esso corrispondente – deve concretarsi nel danno sofferto dalla situazione di inerzia o dall’effetto consumativo subìto a causa del voto negativo deliberato a causa della violazione di legge o dello statuto.
Si tratta di una conclusione che non si pone in contrasto con il dettato dell’art. 2377 comma 2 c.c., in quanto, in caso di delibera negativa, il socio “dissenziente” è da identificare nel socio che abbia votato a favore della delibera; ne consegue anche che l’impugnazione di una delibera negativa è ammissibile solo quando la mancata approvazione non sia stata determinata dal voto della stessa parte ricorrente.

Il Tribunale di Bologna non ravvisa, nel caso di specie, un interesse ad agire avverso le delibera negativa, ragion per cui si limita solo ad accennare alle conseguenze dell’eventuale accoglimento dell’impugnazione di una delibera negativa, evidenziando come – a fronte dell’opinione che non consente che la pronuncia assuma contenuto positivo e valore sostitutivo della delibera, ammettendo solo un effetto demolitorio – esistano talune pronunce di merito che hanno conferito contenuto positivo alla sentenza di accertamento della invalidità.

Quanto alla legittimità dei quorum assembleari c.d. “ultra qualificati”, tesi a garantire alla minoranza un potere di interdizione in determinate materie, si ricorda come – pur esistendo un orientamento che ne contesta la validità, alla luce della centralità del principio maggioritario, quale imprescindibile garanzia dell’efficiente funzionamento dell’organizzazione collettiva che permette di evitare rischi di paralisi – la ricostruzione prevalente, e ritenuta preferibile, sia orientata nel senso della piena validità alle clausole in questione (cfr. Cass. n. 4967/2016).

Ciò, innanzitutto, perché deve ritenersi meritevole di tutela l’interesse dei soci di minoranza a esercitare un potere d’interdizione rispetto a specifiche questioni una volta che queste, già al momento di stabilire i principi organizzativi dell’impresa sociale, siano state, dagli stessi soci, ritenute essenziali.

In secondo luogo, perché la pretesa imprescindibilità del principio maggioritario – ai fini della garanzia dell’efficienza sociale – potrebbe, in astratto, rilevare nelle società ’’aperte”, caratterizzate dal ricorso al mercato del capitale di rischio, ma non in quelle realtà caratterizzate da un azionariato numericamente limitato, dove la finalità della massima efficienza e dinamicità dell’azione sociale non giustifica il sacrificio dell’altrettanto meritevole esigenza – propria soprattutto dei soci di minoranza – di una maggiore tutela dei propri interessi e del proprio investimento; esigenza che appare adeguatamente perseguibile proprio attraverso la previsione di clausole (di salvaguardia) prescrittive di quorum ultra qualificati.
La norma positiva, peraltro, non vieta in alcun modo le clausole che prevedono una maggioranza qualificata, anzi, in più passaggi è ammesso espressamente il ricorso a maggioranze più elevate.

Neppure, infine, rileva la circostanza che, in un determinato momento, la previsione di una maggioranza ultra qualificata venga a tradursi, di fatto, in unanimità. Come precisato dalla sentenza n. 13746/2003 della Cassazione, infatti, la contingente composizione del numero dei soci non può avere alcuna rilevanza rispetto alla regole di funzionamento generale di una società il cui capitale sia frazionato in una pluralità di azioni naturalmente destinate alla circolazione.