Niente sanzione penale per le condotte in cui le informazioni false oppure omesse non incidono sul possesso effettivo dei requisiti per il beneficio

Di Maria Francesca ARTUSI

Chiunque, al fine di ottenere indebitamente il c.d. reddito di cittadinanza, rende o utilizza dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere, ovvero omette informazioni dovute, è punito con la reclusione da due a sei anni.
Tale delitto è previsto dall’art. 7 del DL 4/2019 convertito, ma la giurisprudenza non è concorde sui presupposti per l’integrazione del reato previsto in caso di indebita percezione del reddito di cittadinanza (si veda “Sequestro del reddito di cittadinanza se non si dichiarano le vincite on line” del 16 febbraio 2022).

Secondo un’impostazione, le false indicazioni o le omissioni, anche parziali, dei dati di fatto riportati nelle dichiarazioni previste per l’ammissione al reddito di cittadinanza integrano la fattispecie di rilievo penale indipendentemente dall’effettiva sussistenza delle condizioni di reddito per l’ammissione al beneficio (Cass. nn. 5309/2022 e 5289/2020).

Una diversa interpretazione è stata, invece, proposta dalla pronuncia n. 44366/2021, che ha ritenuto che laddove le informazioni false od omesse non incidano sulla legittimazione ad accedere al beneficio il reato stesso non sarebbe configurabile.

Si conforma a quest’ultima lettura – più garantista – la Seconda sezione penale della Cassazione con la sentenza n. 29910, depositata ieri. Nel caso di specie era stato contestato a un soggetto di aver reso informazioni incomplete e non corrispondenti al vero sulla propria situazione economica senza, tuttavia, che tali omissioni avessero rilevanza poiché, anche a prescindere da tali informazioni, la ricorrente avrebbe avuto diritto alla percezione del reddito di cittadinanza.

Viene qui affermato che la struttura del fatto tipico, come delineata dalla norma incriminatrice con particolare riguardo alla specificazione dell’elemento soggettivo, in uno con la lettura sistematica delle norme che disciplinano il sistema dei controlli – sul contenuto delle dichiarazioni presentate e sul rispetto dei requisiti che legittimano l’erogazione del reddito di cittadinanza – conducono a escludere rilevanza penale per le condotte commissive o omissive poste in essere dal richiedente l’accesso alla misura di sostegno del reddito quando manchi il collegamento funzionale tra quelle condotte e il risultato dell’indebita percezione della misura.

Il dato letterale contenuto nella norma che sanziona il rilascio e l’utilizzazione di false dichiarazioni o documenti in sede di richiesta per il riconoscimento del reddito di cittadinanza descrive l’elemento soggettivo della fattispecie secondo lo standard proprio del dolo specifico, in ragione della finalità richiesta perché assuma rilevanza la condotta decettiva (“al fine di ottenere indebitamente il beneficio di cui all’articolo 3”).
La finalizzazione della condotta non può ridursi alla verifica dell’atteggiamento psicologico tenuto dal soggetto agente, indipendentemente dall’idoneità della condotta nel perseguire l’obiettivo descritto dalla norma (cioè, l’indebito ottenimento della prestazione), risultando più aderente a una concezione del principio di offensività coerente con i canoni costituzionali la lettura della fattispecie incriminatrice in termini di reato di pericolo concreto, dovendosi apprezzare la capacità della condotta nell’incidere sulla rappresentazione, falsata e astrattamente idonea ad attribuire all’agente il possesso di requisiti mancanti per fruire della misura in esame.
La lettura descritta risulta, inoltre, coerente con una delle funzioni tipiche del ricorso da parte del legislatore alla configurazione dell’elemento soggettivo in termini di dolo specifico, ossia quella di restringere l’ambito della punibilità rispetto a categorie di fatti che l’ordinamento già sanziona penalmente (come per la violazione dell’art. 483 c.p. o dell’art. 76 del DPR 445/2000).

Secondo la pronuncia in commento, la rilevanza del nesso funzionale tra le condotte fraudolente e l’effettiva indebita percezione del contributo economico trova conferma anche nel sistema dei controlli e delle verifiche delle istanze di accesso alla misura. L’obbligo di trasmissione all’autorità giudiziaria della documentazione amministrativa contenente i risultati delle verifiche condotte, posto a carico dei soggetti pubblici cui è affidata tale attività di vigilanza (Comuni, INPS, Agenzia delle Entrate, Ispettorato nazionale del lavoro) è, infatti, previsto per le ipotesi in cui dalle dichiarazioni mendaci accertate sia derivato il “conseguente accertato illegittimo godimento del Rdc” (art. 7 comma 14 del DL 4/2019).
Ciò, in conclusione, porta a escludere che le condotte con cui si rappresenti una situazione difforme da quella reale, senza però incidere sul possesso effettivo dei requisiti richiesti per accedere alla misura di sostegno economico, siano considerate dal legislatore passibili di sanzione penale.