Non occorre una formale intestazione, per quanto fittizia

Di Maurizio MEOLI

La Cassazione, nella sentenza n. 26022/2022, ha ribadito che il delitto di “trasferimento fraudolento di valori” (art. 512-bis c.p.) è una fattispecie a forma libera che si concretizza nell’attribuzione fittizia della titolarità o della disponibilità di cose, denaro o altre utilità, realizzata in qualsiasi forma.

Il fatto-reato si sostanzia in una situazione di apparenza giuridica e formale della titolarità o disponibilità del bene difforme dalla realtà e nel fatto di realizzare consapevolmente e volontariamente tale situazione. Vale a dire che occorre una qualsiasi tipologia di atto idonea a determinare l’apparenza di un rapporto di signoria difforme dalla realtà tra un determinato soggetto ed un bene, rispetto al quale rimane intatto il potere di colui che effettua l’attribuzione, e per conto o nell’interesse del quale l’attribuzione è operata; ciò al fine di eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniale o di contrabbando ovvero al fine di agevolare la commissione di reati relativi alla circolazione di mezzi economici di illecita provenienza (cfr. Cass. n. 52616/2014, nonché la recentissima Cass. n. 26902/2022).

Ne consegue che ai fini dell’integrazione del reato non occorre l’intestazione fittizia del bene, essendo sufficiente la mera attribuzione fittizia della titolarità di esso, o anche la sua disponibilità, ad un terzo, per le finalità indicate dalla norma incriminatrice.

Si ricorda che, ai sensi dell’art. 512-bis c.p., “salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque attribuisca fittiziamente ad altri la titolarità o disponibilità di denaro, beni o altre utilità al fine di eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniali o di contrabbando, ovvero di agevolare la commissione di uno dei delitti di cui agli articoli 648648-bis e 648-ter, è punito con la reclusione da due a sei anni”.

La decisione in commento, seguendo soprattutto la linea tracciata dalla sentenza n. 8452/2019, sottolinea come il fatto che l’art. 512-bis c.p. sia intitolato “trasferimento fraudolento di valori” potrebbe far pensare alla necessità di un “passaggio” di titolarità di beni da un soggetto ad un altro con modalità fittizie o simulatorie; vale a dire che sembrerebbe necessario accertare, in primo luogo, che tale passaggio vi sia stato e, in secondo luogo, che esso rivesta carattere fittizio.

Questa lettura formale della norma, tuttavia, non è reputata condivisibile, poiché i contorni della fattispecie in esame, ed in particolare la condotta attiva, devono essere puntualizzati attraverso il contenuto precettivo della disposizione normativa e alla luce della sua ratio.

Rileva, quindi, il richiamo ad una “attribuzione fittizia” ad altri della “titolarità o disponibilità” di denaro, beni o altre utilità e l’espressa individuazione della finalità della norma (quale elemento oggetto di dolo specifico) nell’intento di impedire l’elusione di misure di prevenzione patrimoniali o di contrabbando ovvero l’agevolazione di delitti di ricettazione, riciclaggio o impiego di beni di provenienza illecita.

La corretta individuazione della materialità del delitto di cui all’art. 512-bis c.p. nella “attribuzione fittizia della titolarità o disponibilità” di denaro, beni o altre utilità, consente, allora, di affermare che il legislatore prescinde da concetti giuridico-formali.

In primo luogo, infatti, l’impiego dei termini “disponibilità” e “titolarità”, inidonei a caratterizzare soltanto la condizione del possessore o quella del proprietario, rispondono all’esigenza di ricondurre nell’ambito della previsione normativa tutte quelle situazioni, anche non inquadrabili in base a precisi schemi civilistici, nelle quali il soggetto viene a trovarsi in un rapporto di signoria con il bene.

In secondo luogo, il termine “attribuzione” prescinde da un trasferimento in senso tecnico-giuridico; non descrive, cioè, quali debbano essere le modalità della fittizia attribuzione, rimandando, non a negozi giuridici tipicamente definiti ovvero a precise forme negoziali, ma, piuttosto, ad una indeterminata casistica, individuabile attraverso la comune caratteristica del mantenimento dell’effettivo potere sul bene “attribuito” in capo al soggetto che effettua l’attribuzione ovvero per conto o nell’interesse del quale l’attribuzione medesima viene compiuta.

Si richiede, pertanto, l’accertamento che denaro, beni o altre utilità che appaiono nella “titolarità o disponibilità” di un soggetto siano, in realtà, riconducibili ad un soggetto diverso.

In altri termini, il legislatore, consapevole della complessità dei moderni sistemi economico-finanziari, non indica i meccanismi – che possono essere molteplici, diversi e non classificabili in astratto – attraverso i quali dovrebbe realizzarsi l’“attribuzione fittizia”, ma lascia libero il giudice di merito di operare gli accertamenti necessari per pervenire ad un giudizio, non vincolato da criteri giuridico-formali, ma esclusivamente rispettoso dei parametri normativi di valutazione delle prove o degli indizi emergenti da elementi fattuali o logici.