Il Rapporto 2022 certifica il calo delle medie IRPEF, anche se i redditi nominali risultano in crescita. Superati per la prima volta i 120 mila iscritti

Di Savino GALLO

Negli ultimi 13 anni i redditi medi “reali” dei commercialisti, ovvero adeguati all’effetto dell’inflazione, sono diminuiti del 10,4%, passando dai 66.202 euro del 2008 ai 59.316 del 2021. Il dato è contenuto nel Rapporto 2022 sulla professione, realizzato da Consiglio e Fondazione nazionali di categoria e presentato durante l’assemblea dei Presidenti di ieri.

Stando al documento, la media IRPEF nominale è cresciuta del 4,1% nello stesso periodo, con una variazione positiva dell’1,1% nell’ultimo anno (dai 61.237 del 2020 ai 62.282 del 2021). Segno più anche per il reddito mediano, ovvero quello che divide in due la distribuzione dei redditi individuali, aumentato dello 0,8% e attestatosi a 35.530 euro, circa il 57% del reddito medio. Il reddito reale, però, dopo due anni in cui era tornato a crescere (+ 1,9% nel 2019, + 0,6 nel 2020) ha fatto registrare un nuovo segno meno, attestandosi al – 0,8% nel 2021.

Disaggregando i dati complessivi, si riesce ad avere un quadro delle tante differenze che si registrano all’interno della categoria, non solo in termini geografici, ma anche di titolo professionale. I dottori commercialisti iscritti alla CDC, ad esempio, hanno dichiarato nel 2021 un reddito medio di 68 mila euro (+ 1%) mentre i ragionieri commercialisti iscritti alla CNPR si sono fermati a 48.929 (+ 0,3).

Quanto, invece, alle differenze territoriali, si assiste a una leggera riduzione del divario, anche se il gap rimane ampio. Al Sud, i redditi medi e mediani sono cresciuti nell’ultimo anno rispettivamente del 2,1 e dell’1,8%, mentre nello stesso periodo sono scesi al Nord dello 0,1 e dello 0,6%. I commercialisti del settentrione, però, continuano ad avere un reddito medio pari a 2,5 volte quello dei colleghi del Sud Italia. In termini numerici, al Nord il reddito medio è di 83.524 euro (48.490 quello mediano), al Centro di 59.650 (35.182), al Sud di 34.015 (22.276). Il divario più ampio si registra tra Trentino Alto Adige (reddito medio di 117.586 euro) e Calabria (27.469).

Dinamiche territoriali diverse, ancorché tutte con il segno più, anche per ciò che riguarda il trend delle iscrizioni. Alla fine del 2021, i commercialisti hanno superato per la prima volta la soglia delle 120 mila unità, arrivando a 120.269 iscritti totali. La crescita annuale è stata dello 0,8% (+1,2% al Nord e +0,6% al Sud), trainata in particolare dagli iscritti alla sezione B dell’albo (+ 14,1%), mentre i numeri della sezione A sono aumentati dello 0,6%.

I praticanti, confermando l’inversione di tendenza del 2020 dopo anni di calo, sono aumentati del 7,9%, arrivando a fine 2021 a poco meno di 14 mila unità. Non abbastanza, però, per recuperare il terreno perduto a partire dal 2008: in tredici anni gli abilitati all’esame di Stato sono diminuiti del 61%, passando da 4.309 unità a 1.692. Molto positivo l’andamento delle Società tra professionisti (STP), che hanno oltrepassato le 1.400 unità (+19,4%), con un incremento molto forte al Sud (+24,7%).

In continuo aumento anche la percentuale di donne iscritte all’albo, arrivate al 34,7% del totale, mentre i giovani (under 40) sono pari al 17,6%. La presenza di donne negli Ordini territoriali dei commercialisti è piuttosto variabile e tende a essere più elevata al Nord. In particolare, nel Nord-Est raggiunge il 38,1%, con una punta del 42,6% in Emilia-Romagna. Al Sud la quota scende al 31,5%, con il valore più basso in Campania (27,4%). Stessa dinamica anche per ciò che riguarda i giovani, che sono il 20,6% del totale al Nord, il 14,9% al Sud. Le tendenze, però, sono opposte: la quota di donne continua ad aumentare di anno in anno (+1,4%), mentre quella dei giovani diminuisce progressivamente.