Non sono stati modificati nel settore privato gli obblighi dei datori di lavoro in tema di denuncia all’INAIL

Di Fabrizio VAZIO

Il 30 giugno scorso è stato sottoscritto fra Governo e Parti sociali il nuovo aggiornamento al “Protocollo condiviso di aggiornamento delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus SARS-CoV-2/COVID-19 negli ambienti di lavoro” (si veda “Salta l’obbligo generalizzato di mascherine nei luoghi di lavoro” del 1° luglio 2022).

Si tratta di un testo particolarmente articolato che ha l’obiettivo di fornire indicazioni operative aggiornate, finalizzate a garantire negli ambienti di lavoro non sanitari, l’efficacia delle misure precauzionali di contenimento adottate per contrastare l’epidemia di COVID-19.

Il nuovo documento, in linea con la fine della fase emergenziale, trasforma in gran parte in raccomandazioni quelli che in precedenza erano obblighi. Viene altresì rafforzato il ruolo del medico competente nell’individuare eventuali gruppi di lavoro particolarmente a rischio per i quali, ad esempio, può essere imposto l’obbligo delle mascherine che, in genere, sono solo raccomandate, come peraltro già avviene nel pubblico impiego (circ. Ministero della Pubblica Amministrazione n. 1/2022).

Ci si può chiedere se il protocollo aggiornato, sviluppato anche con il contributo scientifico dell’INAIL, modifica gli obblighi dei datori di lavoro nel caso di lavoratori che contraggono il coronavirus.
A tal fine, occorre in primo luogo ricordare quanto previsto all’interno della circolare INAIL n. 24/2021 dedicata proprio alla sanzione amministrativa per omessa o tardata denuncia di infortunio di cui all’art. 53 del DPR 1124/1965.
La nota di prassi ricorda che, per i casi di malattia-infortunio da COVID-19, la violazione dell’obbligo di presentazione della denuncia nei termini di legge presuppone che il datore di lavoro sia a conoscenza che l’evento è qualificabile come infortunio sul lavoro anziché come malattia di competenza dell’INPS: pertanto, il termine decorre sempre dal giorno successivo alla data di ricezione dei riferimenti della prima certificazione medica di infortunio che attesta che l’astensione assoluta dal lavoro è riconducibile al contagio.

L’obbligo di presentare la denuncia di infortunio non deriva quindi automaticamente dall’eventuale caso di Coronavirus, ma solo dalla presenza di un certificato di infortunio che, quindi, riferisce eziologicamente quel caso di COVID-19 all’attività lavorativa.

A tale ipotesi, è parificata quella in cui vi è una richiesta dell’Istituto assicuratore in esito, evidentemente, ad una prima attività istruttoria (es. segnalazione dall’INPS).
Tali regole non mutano oggi, in quanto derivanti direttamente dalla legge: ove si verifichi una di queste due ipotesi, quindi, il datore di lavoro non può in alcun modo omettere la denuncia di infortunio poiché il predetto art. 53 prevede che essa debba essere presentata “indipendentemente da ogni valutazione circa la ricorrenza degli estremi di legge per l’indennizzabilità”.

Il datore di lavoro potrà far presenti all’Istituto eventuali circostanze a sua conoscenza che possano utilmente indirizzare l’istruttoria dell’Istituto, ma non può in alcun modo omettere la denuncia di infortunio sul presupposto che egli ritenga che il contagio non sia avvenuto sul lavoro.
Infatti, ove non provveda all’invio della denuncia nei termini di legge sarà sanzionato con il previsto illecito amministrativo da 1.290 a 7.745 euro indipendentemente dal fatto che l’evento sia successivamente riconosciuto come infortunio sul lavoro.

Si ricorda infine che nei casi più gravi o più complessi sarà sempre possibile per l’Istituto assicuratore disporre una verifica ispettiva in loco atta a verificare le cause e circostanze dell’evento e a fornire utili elementi in particolare alla consulenza medica dell’INAIL, necessari per decidere sull’indennizzabilità del caso.