La conclusione del procedimento amministrativo preclude quello penale

Di Maurizio MEOLI

È costituzionalmente illegittimo l’art. 649 c.p.p. nella parte in cui non prevede che il giudice pronunci sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere nei confronti di un imputato per uno dei delitti previsti dall’art. 171-ter della L. 633/1941 (sulla protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio), che, in relazione al medesimo fatto, sia già stato sottoposto a procedimento, definitivamente conclusosi, per l’illecito amministrativo di cui all’art. 174-bis della medesima legge.
Ad affermarlo è la sentenza n. 149 della Corte Costituzionale, depositata ieri.

La questione, sollevata dal Tribunale ordinario di Verona con ordinanza del 17 giugno 2021, attiene, quindi, agli artt. 171-ter e 174-bis della L. 633/1941.
Il primo prevede, ai commi 1 e 2, una serie di fattispecie delittuose punite con la pena della reclusione (da sei mesi a tre anni per le ipotesi del primo comma e da uno a quattro anni per quelle del secondo comma) congiunta con la multa da 2.582 a 15.493 euro.

Il secondo, invece, dispone che, ferme le sanzioni penali applicabili, la violazione delle disposizioni previste nella sezione – incluse, dunque, quelle di cui al precedente art. 171-ter – è punita con la sanzione amministrativa pecuniaria pari al doppio del prezzo di mercato dell’opera o del supporto oggetto della violazione, in misura comunque non inferiore a 103 euro. Se il prezzo non è facilmente determinabile, la violazione è punita con la sanzione amministrativa da 103 a 1.032 euro. La sanzione amministrativa si applica nella misura stabilita per ogni violazione e per ogni esemplare abusivamente duplicato o riprodotto.

Le due disposizioni, quindi, sanzionano le medesime condotte materiali con una chiara volontà legislativa di cumulare in capo al medesimo trasgressore le due tipologie di sanzioni.
Ciò – osserva in primo luogo la Corte Costituzionale – comporta la prospettiva di più procedimenti sanzionatori che si sviluppano parallelamente o consecutivamente nei confronti del loro autore, in modo tale che, non appena uno di tali procedimenti giunga a conclusione con l’adozione di una decisione definitiva sulla responsabilità (penale o amministrativa) dell’interessato, il procedimento ancora aperto – o ancora da iniziarsi – divenga un bis rispetto al procedimento già concluso; peraltro in presenza di una indubbia natura punitiva, sostanzialmente penale, delle sanzioni amministrative comminate dall’art. 174-bis della L. 633/1941.

A fronte di ciò, occorre verificare, alla luce dei criteri enunciati dalla sentenza 15 novembre 2016 della Corte EDU (A e B contro Norvegia), se i due procedimenti finalizzati all’irrogazione delle sanzioni – penali e amministrative, ma entrambe di natura punitiva – possano ritenersi avvinti da una connessione sostanziale e temporale sufficientemente stretta, così da risultare parti di un unico sistema integrato di tutela dei medesimi beni giuridici, insuscettibile di produrre effetti sproporzionati sui diritti fondamentali dell’interessato. Infatti, se così fosse, il sistema di “doppio binario” disegnato dal legislatore non risulterebbe, di per sé, incompatibile con l’art. 4 Prot. n. 7 CEDU e, di riflesso, con l’art. 117 comma 1 Cost.

Ebbene, afferma la Corte Costituzionale, posto che certamente il sistema contempla la possibilità che il destinatario dei relativi precetti sia soggetto a due procedimenti distinti, con due classi di sanzioni, non si ritiene che essi perseguano scopi complementari o che concernano aspetti diversi del comportamento illecito. Ci si trova, infatti, di fronte a sanzioni che, con identico scopo dissuasivo, colpiscono la medesima condotta, salvo il caso, poco più che teorico, di una condotta meramente colposa, sanzionabile solo in via amministrativa.

Il tutto senza prevedere alcun meccanismo idoeno a:
– evitare duplicazioni nella raccolta e nella valutazione delle prove;
– assicurare un ragionevole coordinamento temporale dei procedimenti;
– consentire al giudice penale di tenere conto della sanzione già irrogata ai fini della commisurazione della pena in modo da evitare che una medesima condotta sia punita in modo sproporzionato.

Per tal via, quindi, sussistono le condizioni per il verificarsi di violazioni sistemiche del diritto al ne bis in idem che conducono alla conclusione evidenziata in premessa.
Peraltro, precisano i giudici delle leggi, la decisione adottata non è né in grado di neutralizzare l’ipotesi inversa, in cui l’autore della violazione sia stato già definitivamente giudicato per uno dei delitti di cui all’art. 171-ter della L. 633/1941 e sia successivamente sottoposto a procedimento amministrativo ai sensi dell’art. 174-bis della medesima legge, né idonea a conferire razionalità complessiva al sistema, che consente comunque l’apertura di due procedimenti e il loro svolgimento parallelo, con conseguente duplicazione in capo all’interessato dei costi personali ed economici.
Per questi profili, tuttavia, si invita il legislatore ad intervenire rimodulando la disciplina in esame.