Al primo può essere confiscato solo il prodotto, profitto o prezzo tratto dal reato; al secondo il bene riciclato

Di Maria Francesca ARTUSI

Una cosa è il prodotto, il profitto o il prezzo che l’autore del riciclaggio trae dal reato che ha commesso; altra e differente cosa è il bene riciclato. Così la Cassazione – nella sentenza n. 21820 depositata ieri – precisa che nei confronti del “riciclatore” può essere disposta la confisca esclusivamente del prodotto, del profitto o del prezzo che egli ha tratto dal reato di riciclaggio che ha consumato; mentre nei confronti del “riciclante” può essere disposta la confisca del bene riciclato, sempre che ne sussistano i presupposti.

La disposizione normativa di riferimento è l’art. 648-quater c.p. che stabilisce la confisca diretta obbligatoria dei beni che costituiscono il prodotto o il profitto dei reati di ricettazione, riciclaggio, reimpiego e autoriciclaggio, salvo che appartengano a persone estranee al reato (comma 1) e la confisca per equivalente delle somme di denaro, dei beni o delle altre utilità delle quali il reo ha la disponibilità, anche per interposta persona, per un valore equivalente al prodotto, profitto o prezzo del reato (comma 2).

I giudici di legittimità ricordano che il “prodotto” è il risultato dell’azione criminosa, ovvero la cosa materiale creata, trasformata o acquisita mediante l’attività delittuosa, che con quest’ultima abbia un legame diretto e immediato, il risultato ottenuto direttamente attraverso di essa. Ne consegue che il sequestro/confisca del prodotto del riciclaggio colpisce il bene che, derivante dal reato presupposto, sia stato successivamente – per effetto della condotta riciclatoria – creato, trasformato, adulterato o acquisito. Se si intende sequestrare/confiscare il prodotto del riciclaggio, il provvedimento sarà, dunque, diretto su quel bene (o sul valore equivalente in base al citato comma 2) e vi dev’essere il nesso di pertinenzialità (nesso non necessario, invece, se viene eseguita la confisca per equivalente).

D’altra parte, il “profitto” corrisponde all’accrescimento del patrimonio che l’autore del reato consegue attraverso l’acquisizione, la creazione o la trasformazione di cose suscettibili di valutazione economica, e corrisponde all’intero valore delle cose ottenute attraverso la condotta criminosa. Il profitto del reato si identifica con il vantaggio economico derivante in via diretta e immediata dalla commissione dell’illecito (Cass. SS.UU. n. 31617/2015); cioè il beneficio aggiunto di tipo patrimoniale, che non deve essere necessariamente conseguito da colui che ha posto in essere l’attività delittuosa (Cass. SS.UU. n. 29951/2004). Ciò vale, specificamente, nell’ipotesi in cui il riciclaggio abbia a oggetto somme di denaro, cioè un bene fungibile, la cui peculiarità consiste nel fatto che il sequestro/confisca, avendo ad oggetto pur sempre una somma di denaro, sebbene “ripulita”, deve ritersi “diretto” e, quindi, mai per equivalente. In tale caso, non si pone neppure un problema di pertinenzialità, per via della fungibilità del denaro per il quale non è possibile ravvisare una corrispondenza fra somma riciclata e denaro trovato in possesso del riciclatore.

Nella vicenda qui in esame, la Cassazione contesta i criteri che hanno orientato il giudice per le indagini preliminari nella individuazione delle somme in denaro da confiscare (in relazione al delitto di associazione per delinquere, di fraudolenta dichiarazione mediante uso di fatture per operazioni inesistenti e di emissione delle stesse, oltre che – appunto – in relazione a diverse condotte di riciclaggio).

In particolare, viene evidenziato che la confisca disposta è stata qui attuata nei confronti dei soggetti concorrenti sulla base del principio solidaristico (che fa ricadere la confisca indifferentemente su ciascuno dei concorrenti anche per l’intera entità del profitto accertato) che, tuttavia, non è ipotizzabile nel riciclaggio, non potendosi affermare il concorso fra l’autore del reato presupposto ed il riciclatore. Ciò vuol dire che non può essere confiscato al riciclatore il profitto conseguito dall’autore del reato presupposto, mancando il presupposto giuridico, cioè il concorso fra i due autori dei diversi reati (cfr. nello stesso senso Cass. n. 30899/2020).

Viene, pertanto, chiesto al giudice del rinvio di riesaminare il capo della sentenza relativo alla confisca individuando e quantificando quale sia il profitto, il prodotto o il prezzo dei reati a carico dei due imputati. Dovrà, dunque, essere individuato chi e in quale misura si sia avvantaggiato del reato, tenendo presente che, a parte i casi di concorso nel reato per i quali vige la regola della solidarietà, possono verificarsi circostanze in cui del profitto e/o del prodotto del reato si siano avvantaggiati, in modo del tutto autonomo e indipendente, sia l’autore del reato, sia la persona non estranea al reato.

Una volta che risulti provata tale ultima circostanza, in ossequio ai principi della proporzionalità e della corrispondenza fra importo confiscabile e vantaggio patrimoniale ricavato dal reato, non vi è ragione alcuna per cui a rispondere dell’intero importo del profitto/prodotto/prezzo debba essere per intero ciascun imputato.