Si concretizza, infatti, un’operazione con una marcata idoneità dissimulatoria

Di Maurizio MEOLI

La Cassazione, nella sentenza n. 8323/2022, ha stabilito che la “sostituzione” di assegni di provenienza illecita con denaro è un’operazione connotata da una ineludibile idoneità dissimulatoria.
Di conseguenza, deve ritenersi integrato il delitto di riciclaggio, e non quello meno grave di ricettazione, non solo da chi depositi in banca denaro di provenienza illecita – poiché, stante la natura fungibile del bene, in tal modo esso viene automaticamente sostituito con “denaro pulito” – ma anche da chi versi sul proprio conto corrente assegni di provenienza illecita, previa sostituzione delle generalità del beneficiario con le proprie, senza manomettere gli elementi identificativi dell’istituto bancario emittente né i numeri di serie dei titoli.

Al fondo di tale rigoroso indirizzo si pongono, innanzitutto, una serie di valutazioni tendenti a negare qualsiasi rilievo alla tracciabilità dei movimenti bancari nel contesto della distinzione tra riciclaggio e ricettazione. che è da fondare sul fatto che il primo si distingue dalla seconda per l’idoneità della condotta ad ostacolare la provenienza illecita dei beni.

Si osserva, infatti, come la Cassazione tenda ad attribuire rilevanza, come riciclaggio, non solo a condotte volte ad impedire in modo definitivo l’accertamento della provenienza illecita del denaro, dei beni o delle altre utilità, ma anche a renderlo più difficoltoso; il che può avvenire anche attraverso operazioni che risultino tracciabili (cfr. Cass. n. 21925/2018, che ha sottolineato come l’efficacia dissimulatoria dell’azione del soggetto-agente rispetto all’origine delle somme non debba essere assoluta. L’art. 648-bis c.p., infatti, dal momento che parla di “ostacolare”, attribuisce rilevanza al compimento di operazioni volte non solo ad impedire in modo definitivo l’accertamento della provenienza delittuosa dei beni, ma anche a renderne solo più difficile l’accertamento).

Si è, quindi, stabilito che integra il delitto di riciclaggio anche chi, consapevolmente, ricevuti assegni la cui provvista è provento di delitto, li giri a terzi, atteso che la ricezione delle somme portate nell’assegno ed il successivo trasferimento a terzi costituiscono condotte idonee a ostacolare l’individuazione del provento delittuoso (cfr. Cass. n. 46319/2016).
Alla luce di tali indicazioni, la decisione in commento sottolinea come il versamento di assegni (bancari o circolari) di provenienza illecita sul conto di soggetti diversi da quelli che ne sono i reali beneficiari – attraverso azioni fraudolente come la falsificazione del nome del beneficiario o della firma di traenza – integri una operazione di “sostituzione” del titolo cartaceo con il denaro.

Ma il denaro è bene fungibile per eccellenza e idoneo a circolare senza che sia possibile identificarne la provenienza illecita. Di conseguenza, la trasformazione dell’“assegno” (bene con segni identificativi chiari e di immediata percezione) in “denaro” (bene fungibile per eccellenza, privo di segni identificativi e trasferibile senza accertamenti), è idonea ad integrare la fattispecie del riciclaggio.

Ciò non solo perché si realizza una sostituzione che rende difficoltoso il riconoscimento della provenienza illecita del bene trasformato, ma anche perché la tracciabilità (eventuale e successiva) del versamento non impedisce la circolazione del denaro, bene che non ha alcun “segno” della provenienza illecita.

In particolare, la tracciabilità del versamento – dovuta al fatto che i dati identificativi dell’assegno (bancario o circolare) restano, in parte, inalterati – non è sufficiente ad eliminare l’efficacia dissimulatoria della condotta, diretta all’occultamento della provenienza illecita delle somme indicate nell’assegno; somme che, attraverso la monetizzazione correlata al versamento fraudolento, diventano trasferibili senza che la situazione di illiceità si presenti immediatamente percepibile.

A fronte di tutto quanto precede, la Suprema Corte reputa opportuno allontanarsi da taluni propri precedenti (cfr. Cass. n. 24941/2018 e Cass. n. 12894/2015) secondo i quali la condotta di chi versi sul proprio conto corrente (o libretto di deposito) assegni di provenienza illecita, previa sostituzione delle generalità del beneficiario con le proprie, senza manomettere gli elementi identificativi dell’istituto bancario emittente né i numeri di serie dei titoli, configurerebbe un’ipotesi di ricettazione e non di riciclaggio.

Pur essendo vero, infatti, che l’incasso fraudolento dell’assegno non osta alla – non immediata, ma laboriosa – identificazione della provenienza illecita del titolo, è altrettanto vero che tale ipotetica riconoscibilità non elide il nucleo centrale della condotta, ovvero la “sostituzione” del titolo in denaro, bene, come detto, fungibile per eccellenza e trasferibile senza che sia in alcun modo riconoscibile la sua provenienza illecita. Così integrando un’operazione connotata da una ineludibile idoneità dissimulatoria della provenienza illecita delle somme.