Per il Tribunale di Roma, anche se l’azione sociale è prescritta è possibile avvalersi delle regole più vantaggiose per l’azione dei creditori sociali

Di Maurizio MEOLI

Il Tribunale di Roma, nella sentenza dell’11 gennaio 2022, ha ribadito come, per effetto del fallimento di una società di capitali, le (diverse) fattispecie di responsabilità degli amministratori, di cui agli artt. 2392 e 2394 c.c., confluiscano in un’unica azione, dal carattere unitario ed inscindibile.

L’azione sociale di responsabilità, anche se esercitata dal curatore fallimentare, conserva natura contrattuale, in quanto trova la sua fonte nella violazione dei doveri imposti agli amministratori dalla legge o dall’atto costitutivo, ovvero nell’inadempimento dell’obbligo generale di vigilanza o di intervento preventivo e successivo.

L’azione spettante ai creditori sociali, invece, costituisce conseguenza dell’inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale e presuppone l’assenza di un preesistente vincolo obbligatorio tra le parti ed un comportamento dell’amministratore funzionale ad una diminuzione del patrimonio sociale di entità tale da rendere lo stesso insufficiente ad assolvere alla sua funzione di garanzia generica (ex art. 2740 c.c.); con conseguente diritto del creditore sociale di ottenere, a titolo di risarcimento, l’equivalente della prestazione che la società non è più in grado di porre in essere.

I giudici romani, poi, sottolineano come, seppure la sola azione sociale di responsabilità si prescriva nel termine di cinque anni dalla cessazione dell’amministratore dalla carica, rimanendo la prescrizione sospesa finché questi ricopre il suo ufficio, ai sensi dell’art. 2941 n. 7 c.c., nel caso di esercizio cumulativo di detta azione con quella prevista dall’art. 2394 c.c., il curatore può beneficiare del più ampio termine prescrizionale consentitogli da quest’ultima azione, atteso il ricordato carattere di unitarietà ed inscindibilità della domanda proposta.

Si tratta di una soluzione già sostenuta dal Tribunale di Roma n. 1001/2018 alla luce della Cassazione n. 25977/2008. Essa, peraltro, da un lato, si pone in contrasto con quanto stabilito da altra giurisprudenza – secondo la quale le azioni di cui si discute, seppure connotate da una comune legittimazione, continuano ad avere presupposti diversi e ad essere soggette ad un diverso regime giuridico, non solo per quel che riguarda l’onere della prova, ma anche con riferimento ai termini di prescrizione ed alla loro decorrenza (cfr. Cass. 15955/2012 e Cass. n. 13765/2007, nonché Trib. Milano 17 dicembre 2019) – dall’altro, probabilmente, non sarà più praticabile in esito all’entrata in vigore della riforma della Crisi d’impresa che, ammettendo una separazione delle azioni in questione, ne presuppone la loro autonomia (art. 255 del DLgs. 14/2019).

Si segnala, inoltre, come, in tale contesto interpretativo, stabilire se le domande proposte dal curatore possano essere apprezzate sotto entrambi i profili di responsabilità, o esclusivamente sotto uno di essi (per essersi, ad esempio, prescritta l’azione contrattuale), costituisce tipico accertamento di fatto.

Ad ogni modo, la decisione in commento del Tribunale di Roma ribadisce come il termine di prescrizione quinquennale dell’azione dei creditori sociali, di cui all’art. 2949 comma 2 c.c., inizi a decorrere dal momento in cui si verifica l’insufficienza del patrimonio sociale; momento che non coincide necessariamente con il determinarsi dello stato di insolvenza, potendo essere anteriore o posteriore alla dichiarazione di fallimento.

Tuttavia, al fine di costituire il momento iniziale di decorrenza della prescrizione, l’insufficienza in questione – da intendersi come eccedenza delle passività sulle attività dell’impresa o insufficienza dell’attivo sociale a soddisfare i debiti della società – deve presentarsi come oggettivamente conoscibile dai relativi creditori. L’onere della prova della preesistenza dello stato di insufficienza patrimoniale della società rispetto al fallimento ricade sul soggetto che, convenuto in giudizio a seguito dell’esperimento dell’azione di responsabilità, eccepisca l’avvenuta prescrizione della stessa azione.

Quanto, infine, alla liquidazione del danno subito dalla società per effetto della illegittima continuazione dell’attività sociale, in seguito al verificarsi di una causa di scioglimento, anche il Tribunale di Roma fa leva sul criterio di quantificazione della “differenza dei patrimoni netti”, ovvero della differenza tra il patrimonio netto individuato nel momento in cui si verifica la causa di scioglimento e quello individuato nel momento della dichiarazione di fallimento.

Si reputa, così, rispettato il nesso di causalità tra il comportamento illegittimo e la produzione del danno, in quanto il dato iniziale risulta comprensivo anche delle perdite causate dai precedenti amministratori. Queste, in tal modo, non vengono poste a carico della gestione dell’amministratore in relazione al quale viene valutato il comportamento, addebitandogli solo l’aggravamento patrimoniale verificatosi tra il momento in cui si sarebbe verificata la causa di scioglimento della società ed il momento in cui questa sia stata acclarata con il fallimento della società.