La Cassazione si allinea alla giurisprudenza maggioritaria che individua in tale confisca una misura di sicurezza e non una sanzione
La confisca “allargata” può essere applicata all’autoriciclaggio anche se commesso in epoca antecedente al suo inserimento nell’art. 240-bis c.p.
Tale ultima disposizione prevede – per alcuni reati espressamente elencati nella norma stessa – la confisca obbligatoria del denaro, dei beni o delle altre utilità di cui il condannato non può giustificare la provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulta essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, o alla propria attività economica.
Per quanto riguarda l’autoriciclaggio, tale reato è stato inserito nel codice penale con la L. 186/2014 ed è stato indicato nell’art. 240-bis c.p., quale reato “spia” per la confisca allargata, solo con il DLgs. 202/2016.
Nel procedimento affrontato dalla Cassazione nella sentenza n. 6587 depositata ieri, viene così contestato un provvedimento di sequestro preventivo finalizzato alla confisca allargata di esercizi commerciali e autovetture nella disponibilità di due fratelli imputati per i reati di dichiarazione infedele (art. 4 del DLgs. 74/2000) e autoriciclaggio (art. 648-ter1 c.p.). La difesa adduceva, infatti, la violazione del principio di irretroattività, dal momento che le condotte erano state commesse in epoca antecedente al 2016.
I giudici di legittimità non concordano con questa impostazione difensiva. Già in risalenti pronunce le Sezioni Unite statuirono che la confisca in questione costituisce “una misura di sicurezza atipica che, sulla base di predeterminati presupposti, aggredisce entità patrimoniali evocando una presunzione relativa d’ingiustificata locupletazione, rispetto alla quale la tutela del bene-patrimonio si affievolisce nel bilanciamento di valori che privilegiano esigenze di soddisfacimento di istanze diffuse, tese all’espropriazione di beni sottratti in maniera illecita alla collettività, cui vanno restituiti, salvo giustificazione, una volta eliminata con la condanna l’apparenza della disponibilità legittima” (Cass. SS.UU. n. 29022/2001; nello stesso senso Cass. SS.UU. n. 920/2004).
Tale misura di sicurezza – originariamente disciplinata dall’art. 12-sexies del DL 306/1992, poi confluito nel citato art. 240-bis – è finalizzata a impedire l’accumulo di ricchezze di matrice delittuosa, con la quale si è inteso collegare la provenienza dei beni o delle utilità non già al singolo episodio per il quale è intervenuta la condanna bensì all’accettata consumazione di uno dei reati “spia”, unitamente alla disponibilità, in capo al soggetto, di denaro, beni o altre utilità, che non trovino giustificazione in relazione al reddito percepito.
Più di recente, le Sezioni Unite, risolvendo una questione controversa riguardante la confisca ora prevista dall’art. 240-bis c.p. (definita “atipica”, “allargata” o “estesa”, per distinguerla dalle altre ipotesi di confisca obbligatoria), ne ha ribadito la natura di misura di sicurezza patrimoniale (Cass. SS.UU. n. 27421/2021), traendo giustificazione dalla presunzione relativa di accumulo di ricchezza illecita da parte del soggetto condannato penalmente.
Proprio per tale natura, è da tempo consolidato il principio secondo il quale anche tale confisca, come le altre misure di sicurezza, è applicabile nei confronti di chi sia stato condannato per reati commessi prima dell’entrata in vigore della norma che la disciplina, in quanto l’istituto non è soggetto al principio di irretroattività della norma penale di cui all’art. 25 Cost. e all’art. 2 c.p., quanto piuttosto alla disposizione dell’art. 200 c.p., applicabile alla confisca per il richiamo operato dall’art. 236 c.p., secondo la quale le misure di sicurezza sono regolate dalla legge vigente al momento della loro applicazione perché postulano la valutazione in termini di attualità della pericolosità sociale, da ricostruire in base alla legislazione in quel momento vigente, pur se entrata in vigore in epoca successiva al sorgere della pericolosità, o all’acquisizione dei cespiti patrimoniali oggetto di ablazione (così Cass. n. 10887/2012).
Ribadito che il principio di irretroattività opera solo con riguardo alle confische aventi natura sanzionatoria, estranea alla confisca allargata, si è affermato che essa può essere ordinata anche in relazione a cespiti acquisiti in epoca anteriore all’entrata in vigore delle disposizioni che l’hanno istituita (Cass. n. 56374/2018).
Viene, infine, evidenziato come sia un’eccezione rispetto a tali principi la confisca allargata prevista per i reati tributari dall’art. 12-ter del DLgs. 74/2000, introdotto dal DL 124/2019. Secondo quanto disposto dall’art. 39 comma 1-bis di tale decreto legge, le nuove disposizioni “si applicano esclusivamente alle condotte poste in essere successivamente alla data di entrata in vigore della legge di conversione” e dunque dal 25 dicembre 2019.