Permangono i dubbi di legittimità costituzionale sulla giurisdizione

Di Alfio CISSELLO

La legislazione emergenziale che ha caratterizzato gli anni 2020 e 2021 ha previsto, per determinati soggetti, l’erogazione di vari contributi a fondo perduto, tra i quali spicca il c.d. contributo perequativo, di cui all’art. 1 commi 16-27 del DL 73/2021.

Dal punto di vista procedurale, il meccanismo è simile ai contributi precedenti, non a caso la disciplina rinvia all’art. 1, commi 9 e da 13 a 17 del DL 41/2021.
La richiesta di riconoscimento del contributo avviene esclusivamente per via telematica, e, in alcune fattispecie, il sistema dell’Agenzia delle Entrate genera una ricevuta di scarto.

A nostro avviso, non dovrebbero sussistere dubbi sul fatto che tale ricevuta sia impugnabile dinanzi al giudice tributario.
Occorre però dirimere un dubbio che talvolta si pone, e che potrebbe indurre a confondere la giurisdizione da adire con il profilo dell’atto impugnabile.

La giurisdizione, per scelta del legislatore, è quella tributaria per quanto riguarda il recupero del contributo, dunque alle medesime conclusioni si deve giungere per la comunicazione di scarto.
Sussistono forti dubbi sulla legittimità costituzionale di questa disposizione, tuttavia, essendo contenuta in una fonte del diritto primaria, la questione non può che essere decisa, eventualmente, dalla Corte Costituzionale.

L’atto impugnabile è il c.d. “limite interno” alla giurisdizione tributaria, che si caratterizzava, secondo la tradizionale interpretazione che si forniva dell’art. 19 del DLgs. 546/92, per la tassatività degli atti impugnabili, elencati proprio dall’art. 19.
Ad oggi, è assolutamente consolidato il principio secondo cui l’elenco indicato va interpretato in modo estensivo, ritenendo impugnabili tutti gli atti che contengono una pretesa tributaria definita (Cass. 8 ottobre 2007 n. 21045; Cass. 24 luglio 2007 n. 16293).

Così, è vero che la comunicazione di scarto non è formalmente contenuta nell’art. 19 del DLgs. 546/92, ma l’atto è equiparabile ad un diniego di agevolazione.
Rammentiamo che, per salvaguardare la tenuta costituzionale del sistema, la Corte di Cassazione, per consentire al contribuente di eccepire la prescrizione del credito tributario maturata dopo la cartella di pagamento, ha ammesso che si possa ricorrere contro il diniego di autotutela, “preconfezionandosi” così un atto impugnabile (Cass. 11 maggio 2020 n. 8719).

Nel caso del contributo a fondo perduto, non sembra necessario ricorrere al predetto escamotage, ovvero la domanda di autotutela a cui segue il ricorso contro il diniego, espresso o tacito.
Esistendo già la comunicazione di scarto, questa deve ritenersi impugnabile.

Poi, se, in futuro, il sistema venisse dichiarato incostituzionale e la giurisdizione attribuita al giudice ordinario, non emergerebbe nemmeno più il problema dell’atto impugnabile, potendosi adire il Tribunale onde ottenere una sentenza che dichiari l’accertamento del diritto a percepire il contributo.