L’istituto è da assimilare al recesso, per cui il valore della partecipazione è da parametrare a quello della società
Il c.d. sconto di minoranza non si applica nel caso di esercizio di un’opzione put verso altro socio, trattandosi di un’operazione assimilabile all’esercizio del diritto di recesso. La valutazione della partecipazione di minoranza deve, quindi, avvenire secondo il criterio proporzionale, a partire dalla stima del valore complessivo della società.
Ad affermarlo è il Tribunale di Roma nella sentenza n. 10035, depositata l’8 giugno scorso.
Si ricorda che, mentre il “premio di maggioranza” è il valore addizionale di una partecipazione rispetto alla corrispondente frazione di valore complessivo della società, ed è correlato al fatto che una tale partecipazione ne consente l’effettivo controllo, lo “sconto di minoranza” rappresenta, in senso contrario, una diminuzione del valore di una partecipazione, rispetto al suo valore intrinseco, dovuto alla presenza di disutilità riconducibili alla non detenzione del controllo.
Ci si trova, quindi, in presenza di rettifiche, in aumento o in diminuzione, da applicare, eventualmente, al valore fondamentale di una partecipazione.
La questione dello sconto di minoranza è stata affrontata, in particolare, in tema di recesso.
Questo istituto – afferma il Tribunale di Roma – assolve alla funzione di riequilibrare i rapporti di forza tra i soci (di minoranza) e la società. Una lettura sistematica della disciplina in materia consente di affermare che al socio recedente è riconosciuta una sorta di via d’uscita, svincolandosi dal rapporto sociale al verificarsi delle condizioni stabilite dalla legge o dallo statuto. In questo caso, il tema del valore della quota con incidenza di premi di maggioranza o sconti di minoranza è ritenuto assente; ciò in quanto il socio recedente sta esercitando una sua legittima prerogativa.
La decisione in commento ricorda, quindi, come il Tribunale di Roma, nella sentenza n. 8457/2015, abbia stabilito che, alla luce dell’art. 2473 comma 3 c.c., in caso di recesso da srl, la valutazione della quota sia da effettuare in base a due criteri fondamentali:
– quello di mercato;
– quello proporzionale.
Per la valutazione di mercato, in assenza di speciali disposizioni statutarie, occorre fare riferimento ai metodi offerti dalle migliori dottrine e prassi aziendalistiche.
Per quanto riguarda il criterio proporzionale, invece, è esclusa, nella specie, la possibilità di applicazione di sconti di minoranza (per i ridotti poteri connessi alla posizione di socio di minoranza) o di illiquidità (per la prevedibile assenza di mercato). L’esigenza di “conformare” il reale valore della quota ceduta al “peso specifico” della stessa, attraverso i ricordati sconti, infatti, viene meno di fronte alla considerazione che la cessione era operata non in favore di soggetti terzi, in capo ai quali sarebbe stata ipotizzabile una minore appetibilità del pacchetto di minoranza, ma in favore del soggetto già titolare del residuo capitale sociale. Da questo angolo visuale, allora, è ritenuto inappropriato qualsiasi riferimento alla difficoltà della vendita o alla scarsa appetibilità di una partecipazione minoritaria, non incidente sulla gestione della società.
Ed anche il Tribunale di Padova, con provvedimento del 23 maggio 2014 (citato dalla decisione in esame) ha precisato come l’art. 2473 comma 3 c.c. riferisca il valore di mercato da considerare in caso di recesso non alle singole quote, ma al patrimonio sociale nel suo complesso. Pertanto, attesa l’inesistenza di un mercato dei patrimoni sociali nella loro interezza, la norma “non può che significare un riferimento al valore economico effettivo del patrimonio netto e, quindi, al capitale economico della società”. Ed allora, il riferimento normativo al rimborso della quota in proporzione del patrimonio sociale esclude, di per sé, che possano venire in considerazione premi di maggioranza o sconti di minoranza; situazioni che riguardano e possono rilevare solo nell’ambito della negoziazione di una quota in relazione al prezzo convenuto in uno scambio isolato, dove hanno peso posizioni di interesse soggettivo e di forza contrattuale dei soggetti coinvolti.
In pratica, quindi, vi è una netta differenza tra la libera negoziabilità della quota, dove possono presentare rilievo sia il premio di maggioranza che lo sconto di minoranza, e la valutazione della quota in caso di recesso, dove, come evidenziato, il socio esercita una sua prerogativa. Per cui il “valore di mercato” cui si riferisce la disciplina civilistica in tema di valutazione della partecipazione in caso di recesso, non è da riferire alla quota, ma al “patrimonio sociale”, ed il valore della stessa sarà, quindi, il frutto di un mero calcolo matematico effettuato avendo come riferimento il valore (di mercato) del patrimonio sociale.
Ed allora, i giudici romani concludono nel senso che la non applicabilità dello sconto di minoranza deve valere anche nel caso di stima legata all’esercizio di un’opzione put verso altro socio, trattandosi di operazione assimilabile all’esercizio del diritto di recesso e non all’acquisto di una quota negoziabile sul mercato.