Sempre più ai margini la ricostruzione maggiormente rigorosa

Di Maurizio MEOLI

L’art. 10 del DLgs. 74/2000 punisce colui il quale, al fine di evadere le imposte sui redditi o l’IVA, o di consentire a terzi l’evasione, salvo che il fatto costituisca più grave reato, occulta o distrugge, in tutto o in parte, le scritture contabili o i documenti di cui è obbligatoria la conservazione in modo da non consentire la ricostruzione dei redditi o del volume degli affari. La condotta punibile consiste, quindi, nella distruzione o nell’occultamento, totale o parziale, dei citati documenti.
La distruzione configura un reato istantaneo che si realizza al momento dell’eliminazione della documentazione; eliminazione da provare da parte dell’imputato onde avvantaggiarsi dell’eventuale prescrizione (cfr. Cass. n. 54011/2018).

L’occultamento consiste nella temporanea o definitiva indisponibilità della documentazione da parte degli organi verificatori e si realizza mediante il nascondimento materiale del documento. L’occultamento, a differenza della distruzione, dà luogo ad un reato permanente, perché l’obbligo di esibizione perdura finché è consentito il controllo fiscale, con la conseguenza che la condotta antigiuridica si protrae nel tempo a discrezione del reo, il quale, a differenza della distruzione, ha il potere di fare cessare l’occultamento esibendo i documenti.

Il reato permanente, infatti, si distingue da quello istantaneo proprio perché, perdurando la fase di consumazione del reato, il soggetto attivo ha la possibilità di fare cessare in qualsiasi momento la condotta antigiuridica. La permanenza cessa quando scade l’obbligo della conservazione o per altre cause (sequestro aliunde della documentazione o chiusura dell’accertamento fiscale). D’altra parte, occultare un documento non significa solo nasconderlo ma anche mantenerlo nascosto; e, siccome l’occultamento, per essere punito, deve avere avuto incidenza, sia pure relativa, sulla ricostruzione dei redditi o del volume di affari, la condotta antigiuridica perdura finché esiste in favore dell’amministrazione il potere di controllare l’ammontare dei redditi o del volume degli affari (cfr. Cass. n. 5596/2021).

A fronte di ciò, la pronuncia della Cassazione n. 39350/2021 ha sintetizzato la fattispecie di cui all’art. 10 del DLgs. 74/2000 come reato: con doppia alternativa condotta riferita ai documenti contabili (la distruzione e l’occultamento totale o parziale); a dolo specifico di evasione propria o di terzi; con un evento costitutivo rappresentato dalla sopravvenuta impossibilità di ricostruire, mediante i documenti, i redditi o il volume degli affari al fine dell’IVA.

Si tratta, in particolare, di un reato a condotta vincolata commissiva con un evento di danno che è rappresentato dalla perdita della funzione descrittiva della documentazione contabile. Ne consegue che la condotta rilevante non può sostanziarsi in un mero comportamento omissivo (cfr. anche, tra le altre, Cass. n. 32242/2021 e Cass. n. 49798/2018), ossia nel non avere tenuto le scritture contabili in modo tale che sia stata obbiettivamente più difficoltosa – ancorché non impossibile – la ricostruzione aliunde, ai fini fiscali, della situazione contabile, richiedendosi, per l’integrazione della fattispecie penale, un quid pluris a contenuto commissivo e consistente nell’occultamento ovvero nella distruzione di tali scritture la cui istituzione e tenuta è obbligatoria per legge.

In pratica, la fattispecie in questione non è posta a tutela dell’obbligo di istituire la documentazione contabile, ma di quello di conservazione della stessa a tutela dell’interesse generale alla trasparenza fiscale. Di conseguenza, presupposto per la sussistenza del reato è la prova del fatto che i documenti contabili siano stati precedentemente creati e successivamente occultati o distrutti.

A tale ricostruzione, peraltro, si contrappone un orientamento (sembrerebbe, non più riproposto dal 2012), secondo cui, ai fini dell’art. 10 del DLgs. 74/2000, sarebbe rilevante anche l’omessa tenuta della documentazione contabile, essendo sufficiente una semplice difficoltà di accertamento dei redditi o del volume di affari, causata non solo dall’occultamento/distruzione della documentazione, ma anche da qualunque altra condotta che si riveli impeditiva dell’accertamento di cui sopra (così Cass. n. 28656/2009, Cass. n. 2698/2012 e Cass. n. 6752/2012).

In relazione a tale non condivisibile ricostruzione è da osservare come sia vero che, al di là delle affermazioni letterali, dalle citate decisioni emerga comunque, quasi sempre, la prova dell’esistenza della documentazione contabile della società che era stata poi occultata, essendo stata questa trovata in altre società tramite controlli incrociati. In taluni casi, tuttavia (cfr., in particolare, Cass. n. 28656/2009), la Suprema Corte, a fronte di tale rinvenimento presso altre società ha espressamente stabilito che “in ogni caso” la omessa tenuta della documentazione contabile integrerebbe il reato in questione. Bene ha fatto, quindi, la Suprema Corte ad allontanarsi progressivamente da tale soluzione interpretativa e a dichiararla espressamente non condivisibile (così Cass. n. 39350/2021).