Non è, invece, possibile «riscattare» la partecipazione

Di Maurizio MEOLI

Due recenti provvedimenti della giurisprudenza di merito (Trib. Milano 17 dicembre 2020 e Trib. Roma n. 8557/2021) riportano l’attenzione sulle conseguenze che derivano dalla violazione di una clausola statutaria di prelazione nelle società di capitali.

Si afferma, infatti, che, in tal caso, l’atto di cessione è solo relativamente inefficace; nel senso che l’inefficacia potrà essere fatta valere dalla società, tramite l’organo amministrativo, quale soggetto portatore dell’interesse sotteso alla clausola stessa. Con la conseguenza che nessun diritto sociale collegato alle partecipazioni acquistate in spregio alla prelazione è esercitabile dal socio acquirente.

La clausola di prelazione – si evidenza – ha portata organizzativa e funzione sociale, venendo ad incidere su quella che è la relazione tra l’elemento personale e l’elemento capitalistico delle suddette società; nel senso di accrescere il peso del primo rispetto al secondo. Per tal via essa cessa di essere regolata dai soli principi del diritto dei contratti per rientrare nell’orbita più specifica della normativa societaria.

La portata organizzativa della clausola statutaria di prelazione, inoltre, implica che la c.d. denuntiatio deve essere completa di tutti gli elementi del contratto che il socio, che abbia deciso di alienare la partecipazione, ha definito con il terzo, ivi compreso il prezzo e il nominativo stesso del terzo, quale elemento necessario per consentire agli altri soci di valutare, anche in ragione del soggetto che potrebbe fare ingresso in società, se esercitare o meno la prelazione (cfr. Cass. n. 7879/2001).

In particolare – come ricordato dal Tribunale di Roma – il patto di prelazione inserito nello statuto di una società di capitali ed avente ad oggetto l’acquisto delle partecipazioni sociali, poiché preordinato a garantire un particolare assetto proprietario, ha “efficacia reale” e, in caso di violazione, è opponibile anche al terzo acquirente (cfr. Cass. n. 12797/2012). La violazione della clausola di prelazione (stante l’efficacia reale) comporta l’inopponibilità, nei confronti della società e dei soci titolari del diritto di prelazione, della cessione della partecipazione societaria (che resta, comunque, valida tra le parti stipulanti), nonché l’obbligo di risarcire il danno eventualmente prodotto, alla stregua delle norme generali sull’inadempimento delle obbligazioni.

Tale violazione, peraltro, non comporta anche il diritto potestativo di riscattare la partecipazione nei confronti dell’acquirente, dal momento che questa possibilità non rappresenta un rimedio generale in caso di violazioni di obbligazioni contrattuali, ma solo una forma di tutela riconosciuta dalla legge in casi specifici e connotativa dei diritti di prelazione spettanti ai relativi titolari (cfr. Cass. n. 12956/2016, Cass. n. 24559/2015 e Cass. n. 12797/2012).

In altri termini – prosegue la decisione dei giudici romani – l’efficacia reale comporta l’opponibilità erga omnes della clausola nel solo senso della inefficacia rispetto alla società dell’atto di trasferimento eseguito in violazione della clausola. In caso di violazione di una clausola di prelazione, allora, la società può rifiutarsi di riconoscere quale socio l’acquirente della partecipazione il cui acquisto si sia verificato in violazione della clausola di prelazione (cfr. Trib. Milano 26 febbraio 2015), ma non è configurabile un diritto del socio pretermesso a “riscattare” la partecipazione oggetto della cessione non preceduta da adeguata denuntiatio.

Non si attribuisce rilievo, quindi, a quella ricostruzione secondo la quale, nella specie, sarebbe possibile configurare la nullità del negozio traslativo tra socio cedente e terzo cessionario, non versandosi in ipotesi di violazione di norma imperativa e non potendosi ravvisare una impossibilità dell’oggetto per indisponibilità della partecipazione ceduta; e neppure è configurabile una inefficacia assoluta dell’atto ovvero anche tra le stesse parti (come, invece, sostenuto da risalenti pronunce).

Tali sanzioni, infatti, sarebbero eccessive rispetto agli interessi che si intendono tutelare: l’atto, come detto, è solo relativamente inefficace, nel senso che l’inefficacia potrà essere fatta valere dalla società, tramite l’organo amministrativo, quale soggetto portatore dell’interesse sotteso alla clausola stessa. È, anche, possibile ottenere una pronuncia di inefficacia del trasferimento in favore del socio pretermesso (cfr. Cass. n. 24559/2015 e Cass. n. 7003/2015; nonché Trib. Napoli 3 dicembre 2013 e Trib. Roma 17 luglio 2017).

Sul tema, infine, merita attenzione un passaggio delle motivazioni del provvedimento del Tribunale di Milano del 17 dicembre 2020. Si sottolinea, infatti, come la detta inefficacia relativa operi di diritto, quale mera conseguenza della violazione della clausola di prelazione. Essa, per questo, non soffre eccezioni e prevale anche sul dato pubblicitario dell’intervenuto deposito dell’atto di cessione viziato nel Registro delle imprese; deposito che è reputato non rifiutabile dal Conservatore del Registro delle imprese all’esito del suo controllo di mera legalità.