Determinante il fatto che l’assemblea non abbia deciso i provvedimenti da adottare

Di Maurizio MEOLI

In caso di perdita integrale del capitale sociale, anche i soci di srl che non adottino tempestivamente i provvedimenti necessari sono responsabili dei danni da illecita prosecuzione dell’attività sociale. Lo precisa il Tribunale di Torino con sentenza n. 1450/2020.

Nel caso di specie, il bilancio al 31 dicembre 2012 di una srl si chiudeva con una perdita superiore ai 200.000 euro, tale da azzerare il capitale sociale. All’assemblea di approvazione del 30 aprile 2013 si decideva, all’unanimità, di rinviare qualsiasi decisione ad una successiva assemblea. Nel corso del 2013 si succedevano ben quattro assemblee senza che alcuna decisione venisse assunta. Nell’assemblea del febbraio 2014, invece, si optava per lo scioglimento della società, nominando come liquidatore colui che, fino ad allora, era stato l’amministratore unico (nonché socio) della stessa. Di lì a poco, però, a giugno 2014, la società veniva dichiarata fallita. Il curatore fallimentare, quindi, agiva in giudizio per ottenere il risarcimento dei danni procurati alla società ed ai suoi creditori dall’illecita prosecuzione dell’attività sociale.

Tale pretesa veniva avanzata non solo nei confronti di chi aveva gestito la società, ma anche nei confronti dei soci, ex art. 2476 comma 8 c.c., perché, con la loro condotta omissiva, avevano consentito la prosecuzione dell’attività sociale nonostante l’integrale perdita del capitale sociale, con ulteriore aggravamento del dissesto societario.

Il Tribunale di Torino reputa fondate le pretese della curatela fallimentare. Ciò, innanzitutto, nei confronti dell’amministratore che, a fronte della perdita integrale del capitale sociale, già desumibile agli inizi del 2013, ometteva gli adempimenti richiesti dalla legge, non provvedendo né alla dichiarazione di accertamento della causa di scioglimento della società, ex art. 2484 comma 3 c.c., né alla contestuale convocazione dell’assemblea per la nomina dei liquidatori ex art. 2487 comma 1 c.c.; proseguendo anzi l’attività sociale.

Il Tribunale di Torino accoglie anche la richiesta risarcitoria avanzata nei confronti dei soci ex art. 2476 comma 8 c.c., ai sensi del quale, si ricorda, “sono altresì solidalmente responsabili con gli amministratori … i soci che hanno intenzionalmente deciso o autorizzato il compimento di atti dannosi per la società, i soci o i terzi”. Al riguardo, i giudici torinesi dichiarano di condividere quella ricostruzione giurisprudenziale secondo la quale, al fine di ritenere esistente l’“intenzionalità” normativamente richiesta, è necessario verificare la sussistenza, da parte del socio, della consapevolezza dell’antigiuridicità dell’atto; ravvisabile quando l’atto compiuto sia contrario alla legge o all’atto costitutivo della società o quando l’atto, di per sé lecito, sia esercitato in modo abusivo con finalità non riconducibili allo scopo pratico posto a fondamento del contratto sociale.

L’intenzionalità, in particolare, sarebbe da riferire non al danno, ma alla condotta antigiuridica, ovvero alla coscienza e volontà del socio di compiere l’atto potenzialmente dannoso con la consapevolezza dell’antigiuridicità dello stesso, non dovendosi ravvisare né come dolo specifico, ovvero come volontà di arrecare danno, né come mera consapevolezza e volontarietà dell’atto compiuto. Al fine di valutare la responsabilità in esame si ritiene, peraltro, possibile prendere in considerazione tutte le manifestazioni di volontà espresse dai soci, anche in forme non istituzionali o ufficiose, che evidenzino ingerenza o influenza sulle attività di gestione della società. Tra tali manifestazioni si reputa possibile collocare anche le determinazioni assunte in sede di assemblea.

A fronte di ciò, si osserva come anche ai soci del caso di specie fosse evidente, già dall’assemblea dell’aprile 2013, come le gravi perdite avessero azzerato il capitale sociale. Circostanza che avrebbe reso necessario provvedere secondo quanto disposto dagli artt. 2482-ter2484 e 2487 c.c. Tale disciplina contempla soluzioni alternative (ricapitalizzazione, trasformazione o scioglimento) che non rappresentano una facoltà, ma attività dovute, stabilendo che, in caso di riduzione del capitale al di sotto del minimo legale, deve essere convocata l’assemblea per le operazioni di ricapitalizzazione o trasformazione o, dichiarata la causa di scioglimento da parte dell’amministratore, per la nomina dei liquidatori ai sensi dell’art. 2487 c.c. Nella specie, invece, i soci, pur consapevoli della situazione della società, più volte differivano la decisione sulle risoluzioni da assumere, consentendo in questo modo la prosecuzione dell’attività e l’ulteriore aggravamento del dissesto.

Sulla quantificazione del danno, la decisione ritiene usabile, nella specie, il criterio della differenza dei netti patrimoniali (alla data del fallimento e alla data in cui si era verificata la causa di scioglimento). Peraltro, non risultando allegato e provato il fatto che, a fronte di una perdita superiore di circa 4 volte il capitale, la società potesse proseguire in un’attività di liquidazione in bonis, piuttosto che necessitare di una procedura concorsuale, non sono ritenuti sussistenti i presupposti per la detrazione di eventuali costi di liquidazione, come richiesto dal nuovo art. 2486 comma 3 c.c.