La delibera assembleare deve essere interpretata attraverso le regole dettate per i contratti

Di Maurizio MEOLI

A fronte della proposta di azione sociale di responsabilità ex art. 2393-bis c.c. per i danni a qualunque titolo causati dagli amministratori alla società e ai suoi azionisti, rispetto alla quale, nel corso della successiva discussione, ci si soffermi su specifiche condotte (nella specie, l’uso indebito delle carte di credito della società) ma precisandosi che gli addebiti non erano ad esse delimitate, non è ravvisabile alcuna volontà assembleare di circoscrivere l’azione giudiziale.
Ad affermarlo è la Corte di Cassazione nell’ordinanza n. 12568/2021.

Dal punto di vista strettamente procedurale, innanzitutto, si osserva come il giudice dinanzi al quale sia proposta un’azione sociale di responsabilità contro gli amministratori debba verificare, anche d’ufficio, la sussistenza della deliberazione assembleare che approva tale azione. Si tratta di una verifica da svolgere in via preliminare, perché la deliberazione assembleare costituisce un presupposto che, per quanto suscettibile di successiva regolarizzazione ex tunc, attiene alla legittimazione di colui che agisce nel processo, ossia alla stessa efficacia della costituzione in giudizio della società in nome e per conto della quale l’azione di responsabilità è esercitata.

La legittimazione processuale del legale rappresentante della società necessita, infatti, nell’ipotesi di azione sociale di responsabilità, di questo indispensabile presupposto (la deliberazione assembleare) che si presenta, quindi, come elemento integratore di detta legittimazione processuale (cfr. Cass. n. 18939/2007 e Trib. Milano 5956/2020, che definiscono l’autorizzazione assembleare in questione come una condizione dell’azione).

La questione, attenendo alla legittimazione processuale, e finendo per incidere sulla regolare costituzione del rapporto processuale, può essere rilevata d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio, salvo il formarsi sul punto di un giudicato interno.
Rispetto a tali profili nessun rilievo presenta il fatto che la delibera assembleare non conferisca il potere di proporre impugnazioni. È, infatti, da escludere che l’assemblea sia tenuta a pronunciarsi sul punto, visto che l’intervento dell’organo assembleare è previsto, oltre che per la proposizione dell’azione di responsabilità, per i soli casi di rinuncia all’esercizio della detta azione e di transazione (ex art. 2393 comma 6 c.c.).

La decisione in commento si sofferma, poi, sulla ammissibilità di un’azione di responsabilità fondata su fatti diversi da quelli presi in considerazione dall’assemblea. Ciò in quanto non mancano ricostruzioni che ammettono tale possibilità.
Secondo la Suprema Corte, nonostante la presenza di tali voci, appare difficile contrastare il fatto che l’organo amministrativo sia tenuto a conformarsi alle indicazioni della deliberazione assembleare. Con riguardo all’individuazione delle condotte illecite da denunciare con l’azione di responsabilità, allora, l’ampiezza dei poteri spettanti agli amministratori dipende dalle concrete determinazioni dell’assemblea, giacché è quest’ultima a definire, con il proprio deliberato, la legittimazione processuale del soggetto che deve agire in giudizio in nome e per conto della società.

Ciò non significa, tuttavia, che, qualora la delibera dovesse contenere menzione di alcuni comportamenti, sia precluso prospettarne in giudizio di ulteriori.
Infatti, a parte l’ipotesi di una successiva scoperta di fatti ignorati dall’assemblea – nel qual caso si potrebbe fare applicazione dell’art. 1711 comma 2 c.c. sui limiti del mandato – l’identificazione, nel contesto della delibera, di alcuni fatti non costituisce, necessariamente, un elemento rappresentativo della volontà dell’assemblea di basare solo su di essi l’azione di responsabilità che viene deliberata. Ciò in quanto si potrebbe trattare di una affermazione con valore esemplificativo, o finalizzata a precisare che la domanda giudiziale da proporsi non possa prescinderne, o tesa a indicare, più semplicemente, il rilievo che l’assemblea assegna a quella condotta sul piano delle motivazioni che l’hanno spinta a deliberare l’azione di responsabilità, ma senza escludere che questa possa avere ad oggetto anche altri comportamenti.

In relazione a questi aspetti assume rilievo l’applicabilità delle regole interpretative dettate per i contratti quando si deve vagliare il contenuto dispositivo delle delibere assembleari (cfr. Cass. n. 375/2018 e Cass. n. 27387/2005). Occorre, allora, considerare che il carattere prioritario dell’elemento letterale non deve essere inteso in senso assoluto, perché il richiamo, nell’art. 1362 c.c., alla comune intenzione delle parti impone di estendere l’indagine ai criteri logici, teleologici e sistematici anche laddove il testo dell’accordo sia chiaro ma incoerente con indici esterni rivelatori di una diversa volontà dei contraenti (cfr. Cass. n. 20294/2019 e Cass. n. 16181/2017).

Il significato delle dichiarazioni negoziali, quindi, costituisce l’esito di un processo interpretativo che non può arrestarsi al tenore letterale delle parole, ma deve considerare tutti gli ulteriori elementi, testuali ed extratestuali, indicati dal legislatore (cfr. Cass. n. 14432/2016).