Secondo la Cassazione, l’IVA indetraibile non costituisce un onere accessorio di diretta imputazione

Di Silvia LATORRACA

Con la sentenza n. 20435, depositata ieri, 19 luglio 2021, la Corte di Cassazione si è pronunciata per la prima volta in merito alla deducibilità, nell’ambito del reddito d’impresa, dell’IVA indetraibile per applicazione del pro rata.

Il caso di specie atteneva ad una srl che svolgeva attività ospedaliera. La contribuente aveva dedotto integralmente nei periodi di imposta 2003 e 2004 l’IVA relativa all’acquisto di un bene strumentale, che, in base al meccanismo del pro-rata, non poteva detrarre.
L’Ufficio aveva contestato tale scelta, ritenendo che il costo relativo all’imposta dovesse essere “capitalizzato”, seguendo l’ammortamento del bene.

I giudici di merito, in entrambi i gradi di giudizio, avevano confermato la ripresa fiscale, affermando che l’imposta indetraibile doveva essere integrata nel costo del bene per “imputazione diretta” ex art. 110 comma 1 lett. b) del TUIR e, afferendo a beni strumentali, doveva essere “ammortizzata” in quote annuali, secondo le previsioni di cui agli artt. 2426 comma 1 n. 2 c.c. e 102 del TUIR.

In via preliminare, si ricorda che, ai sensi dell’art. 99 comma 1 del TUIR, “le imposte sui redditi e quelle per le quali è prevista la rivalsa, anche facoltativa, non sono ammesse in deduzione. Le altre imposte sono deducibili nell’esercizio in cui avviene il pagamento”.

Tale disposizione fissa, come regola, l’indeducibilità delle “imposte sui redditi” e di “quelle per le quali è prevista la rivalsa, anche facoltativa” e prevede, come eccezione, che le altre imposte siano “deducibili nell’esercizio in cui è avviene il pagamento”, così chiaramente sancendo la deducibilità integrale “per cassa” di queste altre imposte.

Ciò detto, la Corte rileva che per l’IVA c.d. “attiva” (dovuta dai committenti/cessionari) la rivalsa è, di regola, obbligatoria (art. 18 comma 1 del DPR 633/72) e ad essa si correla l’altrettanto generale diritto di detrazione dell’IVA c.d. “passiva” (pagata ai prestatori/cedenti) previsto dall’art. 19 comma 1 del DPR 633/72.
Tale ultima disposizione prevede, tuttavia, al comma 2, che non è detraibile l’IVA relativa ad operazioni esenti (ovvero non soggette all’imposta) e, al comma 5, che, in caso di promiscuità tra operazioni imponibili ed operazioni esenti, il diritto alla detrazione spetta in misura proporzionale, applicando la percentuale di detrazione di cui all’art. 19-bis del DPR 633/72.

Secondo la Cassazione, bisogna necessariamente tenere in conto che l’applicazione delle percentuali di detraibilità fissate dall’art. 19-bis del DPR 633/72, implicando valutazioni a consuntivo basate su una comparazione biennale, non è compatibile con la previsione di cui all’art. 99 comma 1 del TUIR.

Conseguentemente, in applicazione di tale ultima disposizione, l’IVA indetraibile da pro rata, che sia o meno al 100%, deve comunque considerarsi un costo generale di esercizio.
Infatti, diversamente dalle altre ipotesi di indetraibilità (art. 19 commi 2 e 4 del DPR 633/72), riferendosi il pro rata generale alle tipologie di attività esercitate dal soggetto passivo dell’imposta, il “costo” dato dalla percentuale di indetraibilità ai fini delle imposte dirette non può essere “imputato” al singolo bene cui si riferisce l’operazione esente/imponibile, bensì alle attività medesime nel loro complesso.

In questo senso, prosegue la Suprema Corte, va data continuità al principio di diritto in base al quale, in tema di imposte sui redditi e con riguardo alla determinazione del reddito d’impresa, l’IVA, non ammessa in detrazione ai sensi dell’art. 19 del DPR 633/72, perché imputabile ad operazioni esenti, è deducibile dal reddito imponibile, rappresentando “pur sempre un costo collegato al compimento di operazioni che producono un ricavo” (Cass. n. 11514/2001; Cass. n. 22243/2009).

Alla luce di dette considerazioni, va interpretato il documento OIC 12, secondo il quale l’IVA indetraibile va iscritta nella voce “B.14 – Oneri diversi di gestione”, se non costituisce costo accessorio di acquisto di beni o servizi.
In conclusione, la Cassazione ha accolto il ricorso della contribuente e cassato la sentenza impugnata, enunciando il principio di diritto per cui l’IVA indetraibile per effetto del pro rata generale di cui all’art. 19 comma 5 del DPR 633/72 è deducibile per cassa nell’anno del pagamento, quale componente negativo del reddito di impresa.

Per completezza di argomento, si sottolinea che la fattispecie oggetto di pronuncia era stata oggetto di approfondimento, in passato, da parte della dottrina, ad avviso della quale, in mancanza di opzione per la dispensa degli adempimenti, l’IVA indetraibile derivante dall’applicazione del pro rata, collegandosi per sua natura all’intera gestione aziendale e non potendo essere imputata alle singole operazioni di acquisto, costituisce una spesa generale, ad eccezione dell’ipotesi relativa al pro rata di detraibilità pari a zero in cui l’IVA è imputata agli specifici acquisti cui afferisce, con rilevanza anche ai fini fiscali (norma di comportamento ADC n. 152/2003).

La pronuncia della Cassazione si pone, peraltro, in contrasto con l’orientamento (ancorché risalente) dell’Amministrazione finanziaria, ad avviso della quale l’IVA indetraibile è deducibile secondo il criterio di competenza (R.M. n. 9/869/80).