Le Sezioni Unite sposano l’orientamento più garantista: confiscabili i beni entrati nella disponibilità fino al momento della sentenza di condanna

Di Maria Francesca ARTUSI

L’ambito applicativo della confisca “allargata” ha notevoli risvolti di tipo giuridico e pratico. Da qui la necessità di stabilire se, in sede esecutiva, i beni e le utilità confiscabili, ai sensi dell’art. 12-sexies del DL 306/1992 (ora traslato nell’art. 240-bis c.p.), siano quelli esistenti nel patrimonio al momento della pronuncia di condanna per uno dei reati inclusi nell’elencazione della norma stessa oppure se si possa procedere anche su quelli pervenuti nella disponibilità del condannato successivamente a detta pronuncia e sino al suo passaggio in giudicato.
Tale questione è stata portata all’attenzione delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione che si sono pronunciate con la sentenza n. 27421 depositata ieri.

Va premesso che la confisca in esame è oggi prevista dall’art. 240-bis c.p. che stabilisce che, nei casi di condanna o di patteggiamento per taluno dei delitti espressamente elencati nella medesima norma, è sempre disposta la confisca del denaro, dei beni o delle altre utilità di cui il condannato non può giustificare la provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulta essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, o alla propria attività economica.
Nella prassi applicativa, la confisca “in casi particolari” è definita anche “atipica”, “allargata” o “estesa” per distinguerla dalle altre ipotesi di confisca obbligatoria, dalle quali si differenzia perché non colpisce il prezzo, il prodotto o il profitto del reato per il quale sia stata pronunciata condanna, ma beni del reo che, al momento del loro acquisto, siano non giustificabili e di valore sproporzionato al reddito dichiarato o all’attività svolta (per questo è anche detta confisca “per sproporzione”, oggi estesa anche ai reati tributari in virtù dell’art. 12-ter del DLgs. 74/2000).

Sul piano dell’analisi testuale le disposizioni normative non contengono indicazioni per risolvere il quesito posto alla Suprema Corte, dal momento che si limitano a stabilire che la confisca va “sempre” disposta, prevedendo così la sua obbligatoria applicazione quando sia intervenuta la condanna per uno dei reati c.d. “spia”.

Un primo indirizzo interpretativo, sostenuto anche da parte della dottrina, ritiene, allora, che siano confiscabili soltanto i beni esistenti al momento della pronuncia della sentenza di condanna per il reato presupposto, salvo che ulteriori valori e utilità, pervenuti al condannato in epoca successiva, costituiscano il reimpiego di risorse finanziarie già disponibili in precedenza.
Altro orientamento assume che la confisca atipica possa aggredire, in sede esecutiva, anche beni pervenuti nel patrimonio del condannato fino al momento del passaggio in giudicato della sentenza di condanna per il reato presupposto.

Le Sezioni Unite aderiscono qui alla posizione maggiormente garantista, optando per un’interpretazione costituzionalmente orientata che tenga conto del criterio di “ragionevolezza temporale” del provvedimento ablatorio.

Secondo i giudici, soltanto riconoscendo che la pronuncia della sentenza di condanna (o di patteggiamento) costituisce il termine finale di riferimento per operare la confisca dei beni ex art. 240-bis c.p. si assicura identità di regime giuridico a situazioni coincidenti (art. 3 Cost.) e si prevengono strumentali iniziative temporeggiatrici dell’accusa, finalizzate a ottenere una confisca più estesa in sede esecutiva (principio del giusto processo ex art. 111 Cost.).

L’opposta lettura, finirebbe – tra l’altro – per annullare ogni distinzione rispetto alla confisca di prevenzione, sancita dal DLgs. 159/2011, rivelando un’inutile duplicazione di istituti giuridici. Infatti, se il momento dell’emissione della sentenza di condanna (o di patteggiamento) non costituisse lo sbarramento temporale, oltre il quale è impedita la confisca allargata e se fosse consentita la conduzione perenne di indagini patrimoniali per l’individuazione dei beni pervenuti al condannato anche in tempi a essa successivi, si consentirebbe un’esplorazione continua e illimitata, analoga a quella che l’art. 19 del DLgs. 159/2011 consente l’applicazione della misura di prevenzione reale “antimafia”.

Viene, così, enunciato il seguente principio di diritto: il giudice dell’esecuzione, investito della richiesta di confisca ex art. 240-bis c.p., esercitando gli stessi poteri che, in ordine alla detta misura di sicurezza atipica, sono propri del giudice della cognizione, può disporla, fermo restando il criterio di “ragionevolezza temporale”, in ordine ai beni che sono entrati nella disponibilità del condannato fino al momento della pronuncia della sentenza per il c.d. reato “spia”. Resta salva comunque la possibilità di confisca di beni acquistati anche in epoca posteriore alla sentenza, ma con risorse finanziarie possedute prima.