Si tratta di comunicazioni che hanno natura di documenti ai sensi dell’art. 234 c.p.p.
È legittimo il sequestro probatorio di messaggi di posta elettronica già ricevuti o spediti e conservati nelle caselle di posta del computer, in quanto tali comunicazioni hanno natura di documenti (art. 234 c.p.p.) e la relativa acquisizione non soggiace alla disciplina delle intercettazioni telefoniche (art. 266 e ss. c.p.p.) che implica la captazione di un flusso di comunicazioni in atto.
Il principio è stato affermato dalla Cassazione con la sentenza n. 27122 depositata ieri con riferimento a un sequestro probatorio di supporti e documenti informatici, sul presupposto che gli stessi contenessero informazioni rilevanti per accertare condotte di bancarotta fraudolenta in relazione al fallimento di una società produttrice di abbigliamento quanto alla distrazione del suo noto marchio, ceduto dalla fallita a una società bulgara, controllata dall’azionariato di maggioranza della stessa società cedente; nonché alla distrazione di somme di denaro, a mezzo dell’attribuzione di royalties ad altra società in esecuzione di un contratto di licenza d’uso del marchio ceduto.
Operazioni ritenute meri espedienti per trasmettere illecitamente risorse dalla società fallita alla sua controllata bulgara, a fronte di cointeressenze tra gli amministratori della società cedente e di quella cessionaria del marchio, desumibili dalla corrispondenza anche telematica.
Riguardo alla sussistenza del fumus commissi delicti, la Corte ha condiviso la valutazione di premessa dei giudici di merito, che avevano ritenuto il ricorrente vero dominus delle diverse società legate dai detti rapporti contrattuali. In particolare, risultava in atti come lo stesso avesse operato, di fatto e in maniera occulta, quale amministratore di entrambe le società coinvolte nella transazione del marchio, ceduto a un prezzo inferiore a quello reale e sul presupposto, non rispondente al vero, dell’esigenza di reperire risorse finanziarie esterne, con la conseguenza, attestata dal curatore, del sostanziale svuotamento del patrimonio della società fallita.
Di qui la legittimità del sequestro probatorio il cui fondamento, per costante giurisprudenza di legittimità, è costituito dal fumus commissi delicti e non già dai gravi indizi di colpevolezza a carico della persona nei cui confronti è operato il sequestro, essendo sufficiente che sussista la astratta sussumibilità del fatto contestato in una determinata ipotesi di reato (Cass. n. 18491/2018); questo con riferimento all’idoneità degli elementi, su cui si fonda la notizia di reato, a rendere utile l’espletamento di ulteriori indagini per acquisire prove certe o ulteriori del fatto, non altrimenti acquisibili senza la sottrazione del bene all’indagato o il trasferimento di esso nella disponibilità dell’autorità giudiziaria (Cass. n. 3465/2020).
Nel caso di specie, tuttavia, vi era la peculiarità che le operazioni di sequestro avevano anche riguardato le e-mail della società cessionaria bulgara contenute nelle caselle di posta elettronica di un provider straniero.
Sul punto, nel rigettare anche sotto questo profilo il ricorso, la Corte ribadisce che, in tema di mezzi di prova, è legittimo il sequestro probatorio di messaggi di posta elettronica già ricevuti o spediti e conservati nelle caselle di posta del computer, in quanto tali comunicazioni hanno natura di documenti ai sensi dell’art. 234 c.p.p. e la relativa acquisizione non soggiace alla disciplina delle intercettazioni telefoniche ex art. 266 e ss. c.p.p., la quale postula la captazione di un flusso di comunicazioni in atto (Cass. n. 28269/2019) e neppure è applicabile la disciplina del sequestro di corrispondenza di cui all’art. 254 c.p.p., la cui nozione implica un’attività di spedizione in corso o almeno avviata dal mittente mediante consegna a terzi per il recapito (Cass. n. 29426/2019).
Analoga natura di documenti, sempre ai sensi dell’art. 234 c.p.p., hanno i messaggi WhatsApp e gli sms conservati nella memoria di un telefono cellulare sottoposto a sequestro (Cass. n. 1822/2018).
Né può venire in rilievo, nel caso di specie, la disciplina delle rogatorie internazionali, in quanto l’acquisizione, mediante sequestro, era avvenuta in Italia, nei locali di società italiana, e aveva avuto a oggetto documenti informatici che possono essere sequestrati, nel luogo ove avviene l’accesso da parte dell’utente, attraverso l’inserimento della password, indipendentemente dalla localizzazione all’estero del provider.
Del resto, per la Corte, tale modalità di acquisizione risulta paragonabile a quella, ben più invasiva, delle intercettazioni mediante la tecnica dell’“istradamento” – che consiste nel dirigere verso un “nodo” telefonico situato in Italia le chiamate in entrata o in uscita da una certa utenza straniera – rendendo così superflua l’attivazione della procedura rogatoriale nell’ambito della cooperazione giudiziaria. Il ricorso a tale tecnica, infatti, non comporta la violazione delle norme sulle rogatorie internazionali, in quanto, in tal modo, tutta l’attività d’intercettazione viene interamente compiuta nel territorio italiano, né dell’art. 8 della CEDU (“Diritto al rispetto della vita privata e familiare”) come interpretato dalla Corte EDU nella sentenza del 23 febbraio 2016 Capriotti c. Italia.