Le modifiche normative sopravvenute non integrano la fattispecie dell’abolitio criminis
Anche se i soggetti passivi non sono più tenuti a comunicare all’Agenzia delle Entrate i dati delle dichiarazioni d’intento ricevute, le violazioni commesse in vigenza di tale obbligo restano sanzionabili, seppure con l’applicazione della legge più favorevole. Si tratta di quanto sancito dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 19738 depositata ieri, con riguardo alla disciplina prevista prima che l’art. 20 del DLgs. 175/2014 ponesse in capo all’esportatore abituale l’obbligo di trasmettere la dichiarazione d’intento all’Agenzia delle Entrate.
Il caso esaminato nella sentenza riguarda un atto di irrogazione di sanzioni notificato a un soggetto passivo per mancato rispetto dell’obbligo, vigente all’epoca dei fatti, di comunicare all’Agenzia delle Entrate, entro il giorno 16 del mese successivo, i dati delle dichiarazioni d’intento ricevute (art. 1 comma 1 lett. c) del DL 746/83, nella versione applicabile ratione temporis). Detta inosservanza era punita con la sanzione amministrativa dal 100% al 200% dell’imposta, ai sensi dell’art. 7 comma 4-bis del DLgs. 471/97 nella formulazione dell’epoca.
A questo proposito, la Corte di Cassazione ha osservato che l’obbligo di comunicazione delle dichiarazioni d’intento ricevute era correlato all’esigenza di consentire un efficace controllo sull’applicazione della disciplina IVA in esame. Di conseguenza, è stato escluso che la predetta violazione possa essere considerata meramente formale (e, pertanto, non punibile) poiché comporta, comunque, un pregiudizio all’attività di accertamento.
La Suprema Corte ha precisato, inoltre, che, in presenza di una pluralità di operazioni fra le stesse parti, si hanno tante violazioni quanti sono i termini maturati per l’invio della citata comunicazione omessa. Se ricorrono i presupposti, peraltro, si può applicare il cumulo giuridico previsto dall’art. 12 del DLgs. 472/97. È stato escluso, quindi, che l’illecito si consumi solo con la prima fatturazione in regime di non imponibilità IVA e che le fatturazioni successive non siano punibili, come aveva sostenuto il soggetto passivo nel controricorso.
Un ulteriore profilo affrontato dalla Cassazione riguarda la sussistenza di una fattispecie di abolitio criminis oppure di una successione di norme nel tempo, a fronte dei numerosi interventi che hanno interessato la disciplina in esame. A tale proposito, si ricorda che, ai sensi dell’art. 3 del DLgs. 472/97:
– “salvo diversa disposizione di legge, nessuno può essere assoggettato a sanzioni per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce violazione punibile (…)” (comma 2);
– “se la legge in vigore al momento in cui è stata commessa la violazione e le leggi posteriori stabiliscono sanzioni di entità diversa, si applica la legge più favorevole, salvo che il provvedimento di irrogazione sia divenuto definitivo” (comma 3).
In merito al caso di specie, i giudici di legittimità hanno osservato che le modifiche normative previste dall’art. 20 del DLgs. 175/2014 hanno solamente ridotto, ma non eliminato, gli adempimenti posti in capo al fornitore dell’esportatore abituale. Infatti, anche se tale soggetto non deve più inviare la citata comunicazione all’Agenzia delle Entrate resta, comunque, tenuto a riscontrare telematicamente che la dichiarazione d’intento sia stata trasmessa all’Agenzia dall’esportatore abituale. Questo riscontro era in precedenza “assorbito” dall’indicazione nella comunicazione degli estremi della lettera d’intento ricevuta.
In conclusione, dunque, la Cassazione ha ritenuto che la vicenda in esame integri una successione di norme, rimettendo al giudice di merito la valutazione circa la normativa sopravvenuta in concreto più favorevole al soggetto passivo. Occorre considerare, infatti, che sussiste un fenomeno successorio quando “in esito alla comparazione tra gli elementi strutturali del contenuto normativo delle disposizioni, persiste un’area di coincidenza tra le fattispecie, tale per cui, al di là delle modifiche intervenute, vi sia una sostanziale continuità strutturale delle diverse previsioni che si sono succedute nel tempo, tra loro in rapporto di identità o, quanto meno, di continenza per essere gli elementi costitutivi previsti dalla nuova disciplina già tutti compresi in quella precedente”.
È stato escluso, pertanto, che le modifiche intervenute abbiano determinato un fenomeno abrogativo della normativa originaria che avrebbe comportato, invece, la non punibilità del fatto.