Valide le clausole di earn out che rimettono la determinazione del prezzo a un momento successivo

Di Maurizio MEOLI

Il Tribunale di Roma, nella sentenza del 13 novembre 2020, ha sottolineato come, in presenza di aziende in perdita, sia ben possibile concludere contratti aventi ad oggetto il trasferimento di partecipazioni societarie a prezzo simbolico senza che gli stessi siano necessariamente ricondotti a donazioni. In questi casi, infatti, l’indicazione di un prezzo simbolico è giustificata, ad esempio, ai fini della tassazione dell’atto, mentre la corrispettività è individuata, caso per caso, alla luce dei debiti che vengono trasferiti con l’azienda.

L’assenza di un reale corrispettivo, quindi, non implica di dovere necessariamente qualificare il negozio quale atto di liberalità, in quanto, nell’ambito di tali operazioni, il cedente, attraverso detto atto (e pur non ricevendo un corrispettivo), consegue la realizzazione di un proprio interesse giuridico. Vale a dire che la gratuità, di per sé sola, non è circostanza determinante per escludere la realizzazione, sia pure in modo mediato e indiretto, di un interesse anche della parte alienante (cfr. Cass. n. 21250/2010).

Occorre, quindi, distinguere non solo tra negozio a titolo gratuito e negozio a titolo oneroso, ma anche tra gratuità e liberalità. In particolare, l’assenza di corrispettivo, se è sufficiente a caratterizzare i negozi a titolo gratuito (così distinguendoli da quelli a titolo oneroso), non basta a individuare i caratteri della donazione, per la cui esistenza sono necessari, oltre all’incremento del patrimonio altrui, la concorrenza di un elemento soggettivo (lo spirito di liberalità), consistente nella consapevolezza di attribuire ad altri un vantaggio patrimoniale senza esservi in alcun modo costretti, e di un elemento di carattere obiettivo, dato dal depauperamento di chi ha disposto del diritto o ha assunto l’obbligazione.

Si può, quindi, avere un negozio che, seppure gratuito, non è manifestazione di liberalità. L’assenza del corrispettivo – che connota di gratuità il negozio – non ne comporta per ciò solo la nullità, come dimostra, ad esempio, l’esperienza dei rapporti negoziali tra società collegate (così Cass. n. 22567/2015).

Ciò posto, osserva il Tribunale di Roma, con particolare riguardo ai contratti di trasferimento di partecipazioni sociali o di aziende, la realizzazione dell’interesse comune delle parti deve essere ravvisata, da un lato, per il cessionario, nella possibilità di un risanamento aziendale, con eventuale realizzazione di utili in futuro, dall’altro, per il cedente, nella possibilità di ottenere la liberazione dai propri debiti, soprattutto qualora questi dovesse essere amministratore o socio di maggioranza.

In tale contesto, si ritiene altresì valido il contratto di cessione di una partecipazione sociale che preveda un corrispettivo in origine simbolico ma incrementabile al ricorrere di determinate condizioni (c.d. clausola di earn out). Nel caso di specie, in particolare, si stabiliva che il prezzo fissato e corrisposto per la cessione della quota (del 30%) di una srl in liquidazione (1 euro) si sarebbe accresciuto in misura pari al 50% dell’eventuale attivo risultante dal bilancio finale di liquidazione.

Tali clausole non costituiscono una garanzia prestata dal venditore sulla redditività dell’azienda sottostante alla partecipazione venduta, ma una modalità di determinazione del prezzo; esse, quindi, sono da collocare, sistematicamente, tra le clausole di determinazione del prezzo. In particolare, esse si inseriscono nell’ambito delle pattuizioni con le quali le parti rimettono la determinazione del prezzo ad un momento successivo alla stipulazione del contratto. La necessità di tali clausole, nella pratica, è da individuarsi non tanto nel disaccordo tra le parti sulla determinazione del prezzo, ma nella necessità di aggiornare i dati economico/patrimoniali sui quali il compratore ha basato la propria valorizzazione della partecipazione. Pertanto, a differenza delle clausole di determinazione differita del prezzo, che regolano il solo calcolo del prezzo, le clausole di earn out implicano una componente aggiuntiva del prezzo collegata ad un evento futuro e incerto.

A fronte di ciò, nel caso di specie non è ritenuto vero che, così agendo, il funzionamento in concreto del meccanismo di integrazione del prezzo dipenderebbe dallo stesso acquirente, in modo tale da integrare la nullità ex art. 1355 c.c. Infatti, la predisposizione dei bilanci (anche di liquidazione), sulla cui base viene determinato il maggior prezzo da corrispondere al cedente, spetta ad amministratori (e liquidatori) della società “sulla base di norme imperative”, e non già al soggetto acquirente le partecipazioni sociali.

Neppure è possibile configurare un prezzo indeterminabile (con conseguente nullità ex artt. 1418 comma 2 e 1346 c.c.), dal momento che esso è legato all’attivo del bilancio finale di liquidazione, quale fase da eseguire nel rispetto dei criteri individuati dalla legge, senza che siano necessarie ripetizioni nella clausola del contratto di cessione.
Il fatto che la procedura di liquidazione sia governata da disposizioni normative, infine, priva di rilievo anche il fatto che il cedente non partecipi ad essa (a meno che tale partecipazione non venga riconosciuta in specifici accordi).