Il reato previsto dall’art. 493-ter c.p. è un reato plurioffensivo che non attiene solo a un bene nella disponibilità del titolare della carta

Di Maria Francesca ARTUSI

L’utilizzo indebito e la falsificazione di carte di credito o di pagamento sono oggi sanzionati dall’art. 493-ter c.p., in cui assumono rilevanza penale condotte di diversa natura, tutte punite con sanzioni piuttosto elevate.

La necessità di intervenire a tutela delle carte di pagamento è piuttosto recente (a partire dagli anni ’90), e la casistica relativa a tale fattispecie è cresciuta in modo direttamente proporzionale all’incremento dell’utilizzo degli strumenti medesimi. Fin dalle sue origini, la materia è stata strettamente connessa a quella dell’antiriciclaggio, tant’è vero che fino al DLgs. 21/2018 la fattispecie era inserita nell’art. 55 del DLgs. 231/2007.

La Corte di Cassazione si è soffermata, con la pronuncia n. 18609 del 12 maggio scorso, sul tema dell’applicabilità della scriminante del consenso dell’avente diritto (art. 50 c.p.) in un caso in cui era stato fatto uso dell’altrui carta di credito per eseguire operazioni di prelievo del carburante adducendo – appunto – il consenso del titolare.

Per i giudici di legittimità, la corretta lettura della norma incriminatrice porta a escludere l’operatività dell’istituto previsto dal citato art. 50 c.p., rispetto all’uso da parte di terzi dello strumento di pagamento o prelievo, quand’anche in qualche misura delegati dal titolare della carta di credito. Tale causa di giustificazione, infatti, richiede che il bene giuridico protetto dalla norma rientri nella categoria dei diritti disponibili, rispetto ai quali il titolare del diritto sia in grado di rinunziarvi; diversamente, se si verte in ipotesi di diritti che proteggono beni di interesse collettivo, la causa di giustificazione non potrà operare.

Questa chiave interpretativa trova un significativo riscontro nella natura della disposizione che sanziona l’uso indebito di carte di credito e di pagamento, pacificamente diretta alla tutela non solo del patrimonio personale del titolare dello strumento di pagamento o prelievo, ma anche degli interessi pubblici alla sicurezza delle transazioni commerciali e alla fiducia nell’utilizzazione da parte dei consociati di quegli strumenti.

Per tale ragione si è affermato che “la norma incriminatrice mira, in positivo, a presidiare il regolare e sicuro svolgimento dell’attività finanziaria attraverso mezzi sostitutivi del contante, ormai largamente penetrati nel tessuto economico”, con la conseguenza che “è giocoforza ritenere che le condotte da essa represse assumano – come del resto riconosciuto anche dalla giurisprudenza di legittimità in sede di analisi dei rapporti tra la fattispecie criminosa in questione ed i reati di truffa e di ricettazione – una dimensione lesiva che comunque trascende il mero patrimonio individuale, per estendersi, in modo più o meno diretto, a valori riconducibili agli ambiti categoriali dell’ordine pubblico o economico, che dir si voglia, e della fede pubblica” (Corte cost. n. 302/2000).

Ciò ha portato a riconoscere la natura plurioffensiva del reato in esame.
Del resto, che il bene giuridico tutelato non sia solo il patrimonio del titolare della carta di credito è confermato sia dalla finalità perseguita dalle leggi speciali con cui era stata introdotta l’originaria norma incriminatrice (ossia il contrasto dei fenomeni di riciclaggio, anche attraverso il controllo dell’utilizzo dei nuovi strumenti elettronici di circolazione del denaro), sia dalla successiva collocazione della previsione incriminatrice nella struttura del codice penale nell’ambito dei delitti di falso (art. 493-ter c.p.), secondo le indicazioni contenute nella legge di delega dedicata alla riserva di codice e recepite nel DLgs. 21/2018.

Poste queste premesse, la Cassazione ritiene che la circostanza dell’omesso esame dell’operatività della causa di giustificazione da parte del giudice di merito non ha prodotto alcun effetto deteriore per il ricorrente, trattandosi di ipotesi che non poteva essere riconosciuta nella specie.

Viene, tuttavia, precisato che non può ignorarsi che l’utilizzo degli strumenti elettronici di pagamento o di prelievo effettuato da persona diversa dal titolare possa costituire evento non infrequente (quando per ragioni di impedimento momentaneo, dovuto a particolari condizioni di fragilità, disabilità, ovvero a ragioni di salute, il titolare non sia in grado di utilizzare lo strumento di pagamento, pur avendone necessità). È, però, necessario in tali ipotesi che l’eventuale autorizzazione costituisca lo strumento per la realizzazione esclusiva dell’interesse del titolare della carta di credito.

In altri termini, l’autorizzazione assumerà rilevanza solo nelle ipotesi in cui sia apprezzabile in modo manifesto (attraverso la dimostrazione dei rapporti esistenti tra le parti e delle circostanze in cui sia intervenuta tale autorizzazione) che il terzo utilizzatore dello strumento di pagamento o di prelievo di denaro agisce solo nell’interesse del titolare, eseguendo materialmente le operazioni consentite con l’uso della carta di credito, su disposizione del titolare legittimo.