Occorre però il concreto accertamento di interessi incompatibili e potenzialmente dannosi

Di Maurizio MEOLI

Una recente sentenza del Tribunale di Torino, la n. 1294 del 16 marzo scorso, si sofferma sulla disciplina dettata dall’art. 2475-ter comma 1 c.c., ai sensi del quale i contratti conclusi dagli amministratori di srl che hanno la rappresentanza della società in conflitto di interessi, per conto proprio o di terzi, con la medesima possono essere annullati su domanda della società, se il conflitto era conosciuto o riconoscibile dal terzo. Norma che traspone in ambito societario il principio generale dell’annullabilità del contratto concluso dal rappresentante in conflitto di interessi con il rappresentato (art. 1394 c.c.).

Si tratta di una previsione destinata a operare in caso di atti compiuti da amministratori unici, da amministratori delegati muniti del potere di rappresentanza, da amministratori rappresentanti in regime di amministrazione disgiuntiva o da amministratori rappresentanti non muniti dei corrispondenti poteri gestori quando il compimento dell’atto è frutto della propria discrezionalità (come accadeva – almeno sembrerebbe – nel caso di specie). Di contro, la presenza di una delibera del CdA o di una decisione degli amministratori in regime di amministrazione congiuntiva che disponga il compimento dell’atto e ne predetermini il contenuto fa sì che l’opponibilità al terzo della sua inefficacia presupponga il previo annullamento della deliberazione o decisione viziata da conflitto di interessi in applicazione del secondo comma dell’art. 2475-ter c.c., anche quando a compiere l’atto sia l’amministratore in conflitto di interessi.

Si osserva, innanzitutto, come, ai fini dell’applicazione della norma in esame, occorra che l’amministratore sia portatore, per conto proprio o di terzi, di un interesse la cui soddisfazione comporti necessariamente il sacrificio dell’interesse della società. Vale a dire che sussiste il “conflitto di interessi” contemplato quando l’amministratore persegue una finalità contrapposta e inconciliabile con quella della società rappresentata, in modo tale che all’utilità conseguita o conseguibile da quest’ultimo, per sé medesimo o per conto del terzo, segua, o possa seguire, il danno della società rappresentata (la verificazione di un danno, quindi, non costituisce requisito per la proposizione della domanda di annullamento, dovendosi ritenere sufficiente il fatto che la situazione di conflittualità sia anche solo potenzialmente lesiva per la società).

L’esistenza di un conflitto di interessi tra la società e il suo amministratore deve essere accertata “in concreto”, sulla base di una comprovata relazione antagonistica di incompatibilità di interessi di cui sono portatori, rispettivamente, la società e il suo amministratore, non essendo sufficiente neanche la mera coincidenza nella stessa persona dei ruoli di amministratore delle contrapposte parti contrattuali (cfr. Trib. Potenza 16 novembre 2016 n. 1390 e, soprattutto, Cass. n. 27547/2014, secondo la quale il conflitto di interessi rilevante ai fini in questione non può desumersi genericamente dalla mera coincidenza nella stessa persona dei ruoli di amministratori delle due società – nella specie garante e garantita – ma deve essere accertata in concreto, sulla base di una comprovata relazione antagonistica d’incompatibilità fra gli interessi di cui siano portatori la società che ha prestato la garanzia e il suo amministratore, salvo che il conflitto di interessi emerga nella sua concretezza dagli stessi connotati dell’operazione dedotta in giudizio).

E allora, in linea con quanto già indicato dal Tribunale di Bolzano 6 settembre 2019 n. 802, si ritiene che il conflitto di interessi che determina l’annullamento del contratto postuli un rapporto di incompatibilità tra le esigenze del rappresentato e quelle personali del rappresentante o di un terzo che egli, a sua volta, rappresenti; e, in quest’ultima ipotesi, che il vantaggio conseguito dal terzo coincida con quello del rappresentante. Ferma restando l’insufficienza del fatto che il contratto stipulato dal legale rappresentante della società sia poi risultato dannoso per la stessa, avvantaggiando un soggetto terzo – perché in tale circostanza sarebbe semmai possibile il ricorso a un’azione di responsabilità nei confronti dell’amministratore – richiedendosi anche che il vantaggio conseguito dal terzo coincida con quello del rappresentante.

A fronte di ciò, ai fini dell’annullamento del contratto, la società è tenuta a provare, in primo luogo, che l’amministratore, in relazione alla determinata operazione, sia stato portatore di un interesse la cui realizzazione era incompatibile con l’interesse della società (e, quindi, potenzialmente dannoso), e, successivamente, che il terzo conoscesse o avrebbe potuto conoscere, con l’ordinaria diligenza professionale, il conflitto al momento della conclusione del contratto.

In sintesi, come precisato dalla Cassazione n. 14481/2008, occorre l’accertamento dell’esistenza di un rapporto d’incompatibilità tra gli interessi del rappresentato e quelli del rappresentante da dimostrare non in modo astratto o ipotetico, ma con riferimento al singolo atto o negozio che, per le sue intrinseche caratteristiche, consenta la creazione di un utile per un soggetto con sacrificio per l’altro.